Passo dopo passo sul Cammino di Santiago 

Da San Martín del Camino ad Astorga

1 giugno 2018
Tappa 22 – Km. 23

Dopo León le mesetas cominciano a lasciar spazio a un paesaggio più variegato
Dopo León le mesetas cominciano a lasciar spazio a un paesaggio più variegato

 

 

– Piove! –

Stamattina non ci sono proprio dubbi su come vestirsi e ancor prima di lasciare l’ostello indosso il poncho e le ghette.

 

Fisicamente mi sento abbastanza bene e i miei dolori li avverto appena un po’. Spero di continuare così per tutto il giorno e soprattutto di andare verso la guarigione definitiva.

– Com’è che si dice? Quel che non ammazza, fortifica! –

L’auspicio, quindi, è di uscire temprato da questo tunnel di dolori e di poter proseguire fino a compiere l’intero Cammino.

– Voglio fermarmi solo quando toccherò l’oceano! –

Secondo le mie previsioni, compreso oggi, mancano ancora undici tappe a Santiago de Compostela, e altre tre per Finisterre: non sono poche, ma posso dire che il più l’ho già fatto.

 

Giulia, partendo dall’Italia ignara delle anomale condizioni metereologiche che gravano in queste settimane sulla Spagna, non è ben attrezzata per il freddo e anche per la pioggia.

Per proteggere le scarpe dall’acqua, l’aiuto a realizzare delle ghette di fortuna con dei sacchetti di plastica e del nastro adesivo.

L’idea è buona e funzionale anche se a vederla conciata così, la nostra nuova amica sembra piuttosto buffa.

In questi casi, però, l’importante è risolvere il problema e dell’estetica… chissenefrega!

Essere avventurieri è anche questo: adattarsi a quel che viene, con quello che si ha a disposizione.

Anche Rocco, per salvaguardare le scarpe, adotta la stessa soluzione. Per dirla tutta, aveva portato delle ghette ma poi “furbamente” le ha spedite a casa, comprendendole nel pacco che ha fatto a Burgos per alleggerire lo zaino.

 

I primi sette chilometri che percorriamo, si svolgono su una pista sterrata che fiancheggia la strada carrozzabile.

La tratta non è proprio piacevole per via delle auto che transitano a poca distanza e la pioggia battente che non accenna a smettere.

 

Hospital de Órbigo. Il caratteristico ponte medievale
Hospital de Órbigo. Il caratteristico ponte medievale

Hospital de Órbigo
Hospital de Órbigo

Impieghiamo circa un’ora e mezza per compiere questa prima parte dell’odierno Cammino, arrivando a Hospital de Órbigo poco dopo le otto.

Visto che continua a piovere, per intanto entriamo in un accogliente bar e mangiamo qualcosa per rinforzare la frugale colazione di stamattina.

La pausa dentro al bar è provvidenziale perché mentre siamo dentro smette di piovere e dopo possiamo dedicarci alla visita del paesino.

 

Hospital de Órbigo è davvero delizioso! –

Finalmente un paese che si presenta con le fattezze architettoniche che mi aspettavo di trovare in molte delle località toccate dal Cammino.

 

Il piccolo centro abitato è di stampo medievale ed è caratterizzato, principalmente, dallo spettacolare ponte in pietra del XIII secolo che passa sopra al río Órbigo.

Il ponte è costituito da venti arcate e la sua lunghezza è di circa 300 metri.

Da sempre attraversato dai pellegrini in viaggio verso Santiago de Compostela, è diventato famoso per gli accadimenti che risalgono all’anno santo jacobeo del 1434.

La leggenda racconta che un signore originario di León, Don Suero de Quiñones, per amore della sua dama, Doña Leonor de Tovar, sfidò sul ponte per un mese intero tutti i cavalieri che transitavano da Hospital de Órbigo.

Per questo motivo il ponte è anche conosciuto come il passaggio dell’onore (Paso honroso).

Alla fine del torneo, Don Suero raggiunse in pellegrinaggio la tomba dell’Apostolo Giacomo.

La contesa è stata di tale importanza che ne parla persino Don Chisciotte nel famoso libro che racconta le sue folli imprese.

La ricostruzione storica delle gesta del cavaliere Don Suero, ai giorni nostri viene riproposta nel primo fine settimana di giugno con la giostra medievale del “Paso honroso”.

Dato che oggi è l’uno di giugno ed è un venerdì, quest’anno la celebrazione si svolgerà nei prossimi due giorni.

Il paese sarà popolato da svariati personaggi vestiti con gli abiti tradizionali e la musica medievale, suonata dal vivo, riempirà l’aere.

– Peccato perderci l’evento per appena un giorno di differenza! –

Dobbiamo accontentarci di vivere in piccola parte l’emozione della festa, limitandoci a osservare il ponte e le altre vie del paese già addobbate con striscioni e bandiere celebrative.

 

Il nostro grande rammarico, però, è di non aver pernottato qui la scorsa notte, sia per il fascino del paesino e la gioiosa atmosfera che lo pervade sia per la bellezza degli ostelli.

In particolare, diamo uno sguardo all’Albergue Parroquial de Peregrinos Karl Leisner, nella calle Álvarez Vega, ricavato all’interno di un incantevole edificio tradizionale con un accogliente patio interno.

 

Per tutto il tempo della visita non ha ripreso a piovere e così abbiamo avuto la possibilità di vedere il paese e di scattare diverse foto delle maggiori attrattive.

 

Lasciamo il cuore a Hospital de Órbigo e riprendiamo a camminare mentre sono le nove e quindici.

Appena oltre il paese, un bivio ci impone di fare ancora una scelta: prendendo a sinistra, il percorso fiancheggia la strada statale, trafficata dalle automobili; invece, andando a destra, si passa attraverso scenari rurali.

Questa volta la differenza in chilometri, tra un percorso e l’altro, è minima e così, senza alcun dubbio, scegliamo la via attraverso i campi, anche se è quella un tantino più lunga.

La traccia sterrata sulla quale procediamo è molto ampia e pianeggiante mentre l’ambiente con pochi arbusti è piuttosto spoglio.

Man mano che ci avviciniamo alla verde Galizia, si comincia a notare il cambiamento del territorio e, già da adesso, riusciamo a vedere qualche rilievo in lontananza.

 

I cupi nuvoloni sopra le nostre teste, ci concedono di camminare senza il fastidio della pioggia solo per un altro quarto d’ora e, mentre transitiamo da Villares de Órbigo, si riaprono le cateratte del cielo.

 

La casa de los Dioses
La casa de los Dioses

Camminiamo per un paio d’ore ancora, fino a quando nel bel mezzo del nulla, una decina di chilometri prima di Astorga, si palesa ai nostri occhi La casa de los Dioses.

Si tratta di un particolare punto di riposo e di ristoro, sorto una decina di anni fa per opera di un pellegrino spagnolo.

Per ripararsi dal sole cocente (ma non è il caso di quest’oggi), si può godere dell’ombra degli alberi mentre ci si rilassa su delle amache.

Alcune bancarelle poste lungo il passaggio, decorate in stile hippie, con cuori, soli e variopinte scritte manuali, espongono succhi di vario genere, caffè, latte, infusi, frutta, noci, biscotti, torte e tanto altro ancora: tutti prodotti biologici e naturali messi a disposizione dei viandanti con la formula del “donativo”.

 

Con Giulia e Rocco, camminiamo ancora per una ventina di minuti. A mezzogiorno in punto arriviamo all’Alto de San Justo, luogo dove s’incontrano i due differenti itinerari che partono appena dopo Hospital de Órbigo.

Da quassù (siamo a 915 metri d’altitudine) c’è una bella vista panoramica su San Justo de la Vega e su Astorga.

Qui si trova la Cruz de santo Toribio, una croce in pietra che poggia su una base a gradoni circolari, sui quali i viandanti lasciano delle pietre come segno del loro passaggio.

Santo Toribio, Vescovo di Astorga a partire dal 448, è ricordato per aver portato da Gerusalemme il frammento ligneo più grande al mondo della Croce di Gesù Cristo.

La reliquia è ancor oggi conservata e venerata nel monastero a lui stesso intitolato, Santo Toribio de Liébana, situato sui Monti Cantabrici vicino a Potes.

La località è talmente importante per la cristianità che celebra un proprio anno giubilare.

Si narra che il Santo, in disaccordo con gli abitanti di Astorga, andò via dalla città e non appena ne fu fuori si tolse la polvere dai calzari esclamando, duramente, “… di Astorga, neppure la polvere!”

 

Mancano ancora quattro chilometri, tutti in discesa, al termine della tappa odierna: pertanto posso stimare che saremo a destinazione tra circa un’ora.

 

All’ingresso di San Justo de la Vega, c’è una fontana con a fianco la statua di un pellegrino; questo è rappresentato nell’atto di bere dalla “calabaza”, la zucca utilizzata dagli antichi come borraccia. A parte quest’unico elemento che riporta al passato, per il resto il bronzeo personaggio calza scarponi tecnici e veste abbigliamento moderno.

 

Oltrepassato San Justo de la Vega, dopo un paio di chilometri giungiamo ad Astorga mentre sono le 12:20.

Il ventiduesimo giorno di Cammino si conclude nell’Albergue de peregrinos Siervas de María, realizzato all’interno di un antico convento.

 

L’ostello è molto bello; ha più di centocinquanta posti letto ed è ben gestito dai locali volontari Amici del Cammino. Ottima anche la posizione nel centro storico della città.

Nonostante sia un ostello a “cinque stelle” il prezzo è di appena 5 Euro.

 

Presidia la piazzetta antistante la struttura ricettiva una statua che rappresenta ancora un pellegrino.

Trovo che questa sia anomala ancor di più, rispetto a quella vista poco fa arrivando a San Justo de la Vega.

Di solito le statue rappresentano pellegrini del passato, vestiti di stracci e con i sandali ai piedi. In questo caso, invece, il soggetto indossa un pesante cappotto, legato in vita con una larga cintura annodata sul davanti, e porta un cappello a tesa larga che ricorda lo stile western. Ma la cosa che trovo più curiosa di tutte è la grande valigia che porta sulle spalle e che trattiene con una mano, simile a quelle di cartone, rigide e squadrate, usate dagli emigranti.

 

***

Oggi le condizioni delle mie gambe sono migliorate e posso dire che per quasi tutto il tragitto non ho avuto problemi. Qualche dolorino si è fatto sentire solamente durante l’ultimo mezzo chilometro, caratterizzato dal fondo in asfalto delle strade cittadine e da una leggera salita.

Dopo aver fatto la doccia e il bucato, intanto che gli amici vanno a comprare qualcosa da mangiare, sia per il pranzo che per la cena, mi metto comodo e mi dedico alla solita terapia del freddo mettendo del ghiaccio sugli stinchi.

 

Finito di pranzare, riposo un poco e dopo non posso non dedicare il pomeriggio alla visita della città.

 

Astorga è una cittadina monumentale di circa dodicimila abitanti che vanta più di duemila anni di storia e fa parte di quella piccola porzione di territorio spagnolo chiamato Maragatería.

È sorprendente vedere come differenti stili architettonici convivano armoniosamente: dall’antico romano fino allo stile modernista di Gaudí.

 

Astorga è anche il punto in cui convergono il Cammino francese e la Via de la Plata. Quest’ultimo è un altro dei tanti Cammini che portano a Santiago de Compostela e prende il nome dall’antica strada consolare romana. In questo caso l’itinerario parte dal sud della Spagna, per l’esattezza da Siviglia.

 

Astorga. Il palazzo comunale nella plaza Mayor
Astorga. Il palazzo comunale nella plaza Mayor

Dall’ostello, raggiungiamo in pochi minuti la plaza Mayor.

La piazza, porticata e quadrangolare, è il cuore pulsante della città dove si svolgono le feste più importanti e gli eventi culturali.

La sua posizione centrale risale ai tempi dei romani, quando in questa stessa area sorgeva il foro.

L’elemento che più caratterizza la piazza è la facciata del palazzo comunale, riccamente decorata in stile barocco.

Poco più avanti giungiamo a plaza Santocildes, un’altra importante piazza dove c’è un monumento con un leone che vince su un’aquila. L’opera scultorea ricorda l’eroica difesa dagli invasori francesi e dai vari assedi che la città ha subito nel corso della storia.

Ancora qualche passo e arriviamo nella plaza Obispo Alcolea, dove un’altra scultura richiama la nostra attenzione. Stavolta, però, si tratta di un’opera moderna che risale a pochi anni fa.

È la “Maternidad”, una donnona nuda, seduta con le gambe incrociate, che tiene in braccio un bambino.

A colpo d’occhio, la scultura sembra un Botero ma in realtà è stata realizzata dagli artisti Castorina Francisco e Amancio González.

 

Astorga. Il palacio Episcopal
Astorga. Il palacio Episcopal

Astorga. La cattedrale di Santa María
Astorga. La cattedrale di Santa María

La nostra passeggiata nel centro storico di Astorga, adesso ci porta a scoprire i due monumenti più importanti della città, praticamente situati uno accanto all’altro: la cattedrale di Santa María e il palacio Episcopal.

La cattedrale, costruita dal XV al XVIII secolo, comprende elementi che vanno dal gotico al barocco, al rinascimento. La spettacolare facciata è un trionfo d’arte barocca, scolpita riccamente come se fosse una pala d’altare in pietra. Completano il prospetto due torri gemelle a pianta quadrata che curiosamente sono uguali in tutto tranne che nella tonalità del colore.

 

A fianco della cattedrale c’è il palacio Episcopal; a vederlo, più che un edificio religioso sembra uno dei castelli fantastici della Walt Disney.

In realtà è un progetto neogotico, ideato dalla mente geniale del famoso architetto spagnolo Antoni Gaudí, edificato tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

La costruzione del palazzo non fu terminata da Gaudí per contrasti tra questo e la committenza che lo indussero a dimettersi. Il completamento dell’edificio fu affidato ad altri architetti che, per ovvie ragioni, non furono capaci di proseguire secondo l’idea del progetto originale. Un esempio sono i tre imponenti angeli in zinco pensati da Gaudí per essere posti sul tetto; invece vennero sistemati nel giardino del palazzo, dove si trovano ancor oggi.

Dal 1963, l’edificio accoglie il museo de los Caminos, conservando svariati elementi che riguardano i pellegrinaggi a Santiago de Compostela.

 

Come al solito, alterniamo le visite culturali dei luoghi a momenti di puro passeggio, dove gli incontri con altri pellegrini sono sempre una piacevole occasione di socializzazione.

Proprio davanti al palazzo di Gaudí, incrocio sullo stesso marciapiedi due uomini corpulenti di mezza età che si assomigliano anche un po’ tra loro; li ho già visti altre volte, però sempre in lontananza.

La cosa che ha catturato la mia attenzione è l’identico giubbotto da loro indossato che, guarda caso, è lo stesso che porto io.

Con la scusa del capo d’abbigliamento uguale, li fermo e ci presentiamo.

Sono entrambi brasiliani e parlano l’affascinante lingua della saudade, evocativa di grandi esplorazioni, opere letterarie e musicali e tanto altro ancora.

Scambiamo simpaticamente qualche battuta e prima di salutarci non perdiamo l’occasione per scattare una foto insieme che mette in evidenza la terna di giubbotti identici.

 

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Durante l’interessante pomeriggio di visita della bella Astorga, siamo stati accompagnati da un piacevole sole. Il meteo di questi giorni però e abbastanza variabile e così al termine del nostro giro il cielo s’incupisce repentinamente e cominciano a cadere dei goccioloni di pioggia.

Facciamo quindi una capatina al supermercato e dopo, affrettando il passo, rientriamo in ostello per preparare la cena.

 

Mentre gli amici cucinano, io mi rilasso facendo una nuova applicazione di ghiaccio alle gambe.

Ormai, questi momenti stanno diventando per me una specie di rituale che comincio a sentire come una coccola dopo le fatiche del tanto camminare, più che una terapia per i dolori agli stinchi.

La cena è buona e soddisfacente, però mi dispiace un po’ di non essere andato fuori per provare il “cocido maragato”, il piatto tipico della zona.

Si tratta di uno stufato di cui, tradizionalmente, si alimentavano i contadini dopo una dura giornata di lavoro. Consiste in un unico pasto preparato a fuoco lento con prodotti della terra: cavoli, ceci e svariati tipi di carni.

Un’altra particolarità di questo spezzatino è che viene servito con una sequenza inusuale: prima la carne, poi le verdure e, per finire, la zuppa.

© Aldo Lardizzone 2020 Licenza Creative Commons CREATIVE COMMONS

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