Passo dopo passo sul Cammino di Santiago
Da Carrión de los Condes a Terradillos de los Templarios
27 maggio 2018
Tappa 17 – Km. 26
Dopo una notte di riposo, sembra che le condizioni delle mie gambe siano migliorate.
Questo, però, non vuol dire che il problema sia risolto ed è possibile che durante la giornata i dolori forti si ripresentino, così com’è successo ieri.
Sicuramente dovrei fermarmi qualche giorno, riposando fintanto che tutto ritorni alla normalità; per adesso, non voglio contemplare questa opzione e vado avanti, sperando di non aggravare la situazione facendo danni maggiori.
La cura che sto adottando sono degli antinfiammatori, sia in capsule sia come medicamento topico.
– Adesso, al mattino, dopo la sveglia, devo prevedere un buon quarto d’ora per spalmare la pomata alle gambe per i dolori e la vaselina ai piedi per prevenire le vesciche. –
Stamattina voglio anticipare la partenza per compiere con più calma l’odierna tappa.
Notoriamente, i chilometri da percorrere quest’oggi sono i più noiosi di tutto il Cammino: dopo la partenza, il primo paesino che s’incontra dista diciassette chilometri.
Questa tratta del Cammino francese, oltre a essere noiosa, nei mesi estivi e in genere nelle giornate assolate è anche abbastanza impegnativa per via del gran caldo.
Qui, più che in altre parti delle “mesetas”, il Cammino riserva ai pellegrini grandi sofferenze, per il sole cocente e anche per la scarsità di fonti di acqua potabile. Pertanto è consigliato fare una buona scorta d’acqua prima di partire.
Quest'oggi facciamo colazione in camera, mangiando quel che abbiamo acquistato ieri.
Lasciamo l’ostello alle 6:20.
Uscendo da Carrión de los Condes passiamo sul puente Mayor. Il ponte che scavalca il río Carrión è stato realizzato in stile romanico è poi rimodellato più volte nel corso dei secoli. Può essere annoverato tra i tanti ponti costruiti nel XI secolo lungo l’itinerario jacobeo per facilitare il transito di pellegrini e mercanti.
Poco dopo il ponte s’incontra l’antico monastero benedettino di San Zoilo del X secolo, oggi trasformato in parte in hotel a tre stelle. Passandovi davanti ne vediamo la facciata esterna, anche se l’aspetto più rilevante dell’edificio è il chiostro interno in stile plateresco, arricchito da svariate sculture.
Sono le sette in punto mentre alle nostre spalle sorge il sole. Questo, dopo aver fatto capolino all’orizzonte, man mano che va su gioca a nascondino tra una stria di nuvole e l’altra.
L’ambiente s’illumina con i colori caldi del mattino, facendoci presagire che oggi sarà una bella giornata.
– Speriamo che il termine “caldo” rimanga riferito solo ai colori del paesaggio e non anche alle temperature. –
La strada che percorriamo è asfaltata ed è fiancheggiata da parecchi alberi.
Il vero tratto “assassino” della tappa odierna comincia dopo l’incrocio per Villotilla. Da questo punto lasciamo l’asfalto e continuiamo lungo un sentiero in terra battuta: il percorso coincide con la Via Aquitana, l’antica strada romana realizzata nell’antichità per unire le città di Bordeaux e Astorga.
Il sentiero è rettilineo e scorre in mezzo a un paesaggio piatto e monotono che rimane invariato per quasi dodici chilometri.
Oltre al colore dominante dei campi, il verde, spicca anche il giallo della colza e il rosso dei papaveri; questi esili fiorellini che numerosi affollano i lati del sentiero, mentre passiamo sembrano salutarci e incitarci a non mollare.
– Dai! Dai! Vedrai che ce la farai!!! –
Se potessero parlare, probabilmente è questo che ci direbbero.
Un incitamento mi ci vorrebbe proprio, perché mentre percorro questa via interminabile in mezzo al nulla, i dolori agli stinchi si fanno sentire sempre più, fino a diventare lancinanti: nessuno mi può aiutare e, nonostante la sofferenza, non posso fare altro che impegnarmi per continuare ad andare avanti.
– Se voglio arrivare, devo camminare. Non ho alternativa! –
La nota positiva è che la temperatura è accettabile e non c’è il caldo che solitamente cuoce queste terre e mette a dura prova i viandanti. Addirittura, indosso ancora la giacca a vento.
Da queste parti è fortemente raccomandato evitare di attingere acqua dai pozzi e da qualche rara fonte, perché possono essere contaminate dai liquami dei campi coltivati.
***
Sono passate quattro ore piene da quando stamattina ho lasciato l’ostello e finalmente vedo apparire davanti a me Calzadilla de la Cueza.
No, non si tratta di un miraggio ma è una visione reale del tanto agognato paese che, dopo diciassette chilometri di cammino, mi permetterà di fare una pausa, di riposarmi e di rifocillarmi.
Per quanto il rettilineo sentiero in mezzo ai campi dia l’impressione di essere completamente in piano, nella realtà è in leggera salita mentre il paese sorge appena dopo un piccolo dosso. Per questo motivo Calzadilla de la Cueza si rivela agli occhi di chi cammina solo qualche centinaio di metri prima dell’arrivo.
Sono tutti qui i pellegrini che hanno concluso il lungo ed estenuante percorso; sono tutti al bar El Camino che si trova proprio all’ingresso del paese: la posizione è molto azzeccata perché chi arriva non ha voglia di fare neanche un solo passo in più.
Mi fermo anch’io e mi accomodo sulla prima sedia libera che trovo: sono piuttosto provato, non tanto per il lungo percorso appena compiuto, ma per il dolore fisico che mi attanaglia le gambe. Mi rattrista soprattutto il pensiero di dover abbandonare l’impresa che, sempre più, sembra essere l’inevitabile soluzione al problema.
Numerose sedie rosse attorno a dei tavolini dello stesso colore, caratterizzano l’esterno del bar dove i pellegrini possono ristorarsi.
Non appena liberatomi dallo zaino sulle spalle, mi metto seduto, tolgo le scarpe e tiro su i pantaloni fino al ginocchio. Spalmo la pomata antinfiammatoria sugli stinchi, massaggiandoli un po’.
Poi faccio anch’io uno spuntino.
Alle undici e mezza riprendo a camminare, fiducioso di poter affrontare i nove chilometri che mancano all’arrivo: mi sembra che il riposo abbia giovato alla mia condizione fisica, riportando i dolori a un livello sopportabile.
Prima di ripartire, dato che la temperatura è salita, tolgo qualche strato di abbigliamento fino a rimanere con la sola maglietta a maniche corte.
Il sole, alto nel cielo, adesso si fa sentire, anche se il caldo non è ancora quello dei mesi estivi.
Non ho più notizie dei miei amici e procedo camminando da solo.
Il paesaggio rimane immutato, con la sola differenza che ora il sentiero sterrato corre al fianco della strada asfaltata.
Dall’ultima pausa è passata poco più di un’ora e adesso, giunto a Ledigos, sento la necessità di fermarmi nuovamente e di mangiare qualcosa di più consistente.
In un bar prendo la solita tortilla, che “me gusta mucho”, accompagnandola con un succo di frutta.
Rimango fermo una mezz’oretta e dopo ricomincio a camminare per compiere gli ultimi tre chilometri di oggi.
Alle 14:50 eccomi arrivato a Terradillos de los Templarios.
In realtà non mi addentro nel centro abitato perché l’ostello dove gli amici si sono fermati, già da un pezzo, è situato a poco più di cinquecento metri prima dell’entrata nel paese.
Mi dispiace non alloggiare in centro però, allo stesso tempo, mi sta bene questa soluzione perché così ho accorciato un tantino il percorso. Tra l’altro, ancora una volta, Rocco ha avuto la gentilezza di prendere un posto anche per me.
In camera, la branda sopra la mia è occupata da un ragazzo che proviene da Ushuaia, la città argentina nella Terra del Fuoco che è la più a sud del mondo.
Tra tutti i pellegrini che ho incontrato lungo il Cammino di Santiago, sicuramente posso annoverare questo come quello giunto da più lontano.
L’ostello dove ci troviamo è l’Albergue los Templarios: la struttura è nuova, pulita e ben organizzata e quello che vale di più è l’ampio spazio verde esterno, tutt’attorno alla costruzione.
Voglio prendermi un intero pomeriggio di riposo e, considerando anche il fatto che il paese è a mezzo chilometro di distanza, decido di rimanere in ostello e di non camminare più fino a domattina.
Così, dopo la doccia, mi metto comodo al sole, stendo le gambe, faccio uno spuntino e chiacchiero con altri pellegrini.
Tra questi c’è anche Giovanna, la giovane di Sassari, tormentata anch’essa dai malanni.
Ha i piedi pieni di vesciche e una pellegrina proveniente dall’est d’Europa, che nella vita fa l’infermiera, gliele ha bucate tutte con grande professionalità, curate con pomata antibiotica e incerottate vistosamente.
Giovanna, che per quante ne ha passate è diventata esperta di problemi fisici che incorrono durante il Cammino, mi convince a mettere sulle gambe un gel medico che ha già sperimentato su sé stessa.
Mentre Rocco e Dante, insieme ai tre toscani, vanno a fare un giro in centro, io rimango in ostello e mi documento sul paesino leggendo le guide. Dato che non vado con loro, questo è l’unico modo che mi rimane per conoscere il posto dove mi trovo e, allo stesso tempo, capire se mi perdo qualcosa di estremamente interessante.
Il nome Terradillos de los Templarios fa riferimento ai Cavalieri del Tempio, ovvero i Templari, in quanto il paese era territorio giurisdizionale di questo ordine.
Lo scopo originario dei Templari era quello di proteggere i cristiani che nel Medioevo andavano in pellegrinaggio a Gerusalemme; in qualità di guardiani dei luoghi santi, questi estesero il loro impegno di difesa anche sulle vie del Cammino di Santiago.
Legate alla località, ci sono alcune leggende che fanno riferimento alla “gallina dalle uova d’oro” che, a quanto pare, è stata seppellita proprio da queste parti dagli ultimi Templari.
Una delle tante storie racconta di un parroco che ogni anno portava un uovo d’oro a Santiago, finché non gli fu chiesto di portare direttamente la gallina.
A parte queste curiosità, saltando la visita del paese mi sembra di non perdermi nulla di molto importante.
Intorno alle venti ceniamo al ristorante dello stesso ostello e un’ora dopo siamo già a letto.
– Anche domattina si parte presto! –
Per i miei dolori mi è stato consigliato di prendere magnesio e potassio: effettivamente non capisco com’è che non ci abbia pensato io stesso, addirittura assumendoli a priori senza aspettare l’insorgere del problema.
Così, essendone sprovvisto, per iniziare subito la cura chiedo a Dante un paio di bustine in prestito, dato che ne ha una bella scorta.
– Ormai le provo tutte, pur di non arrendermi e cercare di rimettermi in forma il più presto possibile. –
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