Passo dopo passo sul Cammino di Santiago 

Da Belorado a San Juan de Ortega

21 maggio 2018
Tappa 11 – Km. 24

Belorado. Indicazione lungo il Cammino
Belorado. Indicazione lungo il Cammino

 

 

 

Il tragitto che ho in programma per oggi lungo la via jacobea non presenta grandi difficoltà e i chilometri che percorrerò rientrano esattamente nella media giornaliera.

Nonostante mi aspetti un itinerario non molto impegnativo, mi avvio comunque abbastanza presto, lasciando l’ostello di Belorado alle 6:30.

Per la tappa odierna è particolarmente raccomandato anticipare la partenza per non giungere troppo tardi alla meta di San Juan de Ortega.

La località è davvero minuscola e l’unica possibilità di alloggio per i pellegrini sono i soli sessanta letti che dispone il rifugio all’interno di un monastero. La disponibilità dei posti si esaurisce presto e l’alternativa sono un paio di hotel, meno suggestivi e molto più costosi rispetto agli standard del Cammino, oppure bisogna proseguire fino al prossimo paese.

 

Mentre vado via da Belorado con me ci sono ancora Rocco e Dante, con i quali continuo a fare trio fisso, almeno alla partenza e all’arrivo di ogni tappa.

 

Vista l’ora in cui partiamo, non riusciamo a mangiare nulla e anche quest’oggi rimandiamo la colazione alla prima località che incontreremo.

La temperatura del mattino come al solito è piuttosto bassa, anche se un po’ meno fredda rispetto a quella di ieri.

Dal punto di vista meteorologico, la giornata promette bene: i nuvoloni di ieri sera sono scomparsi e stamattina camminiamo sotto un cielo quasi terso.

 

L’uscita da Belorado è segnata dal passaggio sul ponte romanico in pietra El Canto, che scavalca il río Tirón.

Inizialmente camminiamo a poca distanza dalla strada asfaltata; presto, però, il sentiero sterrato che percorriamo si allontana da questa e ritroviamo il piacere di camminare in un paesaggio bucolico, attraversando bellissimi campi verdi ancora coltivati a cereali.

 

Dopo poco più di un’ora di cammino, abbiamo compiuto i primi cinque chilometri della tappa odierna e siamo così giunti a Tosantos; le nostre aspettative di una buona colazione vengono qui deluse dato che l’unico bar del paese è ancora chiuso.

L’impossibilità di mangiare fa aumentare ancor di più la nostra fame ma l’unica soluzione per fare una ricarica di caffè, carboidrati e zuccheri è quella di riprendere a camminare e andare avanti.

Fortunatamente, il prossimo paese è a poco meno di due chilometri.

Arrivati a Villambistia troviamo un bar aperto e finalmente possiamo prendere qualcosa che ci riscaldi e che ci dia la carica per continuare.

 

Acquietata la fame, riprendiamo a camminare attraversando ancora paesaggi agresti con basse colline che si estendono a perdita d’occhio; i colori predominanti sono il verde e il giallo dei campi e l’azzurro del cielo.

 

Appena superato il paesino di Espinosa del Camino incontro la Campana de Pepe, un piccolo rifugio con appena dieci posti letto realizzato e gestito da Pepe, per l’appunto. Il personaggio è un ex paracadutista dalla faccia rotonda e simpatica, incorniciata da una folta barba bianca.

Pepe accoglie amichevolmente i pellegrini, chiacchierando e cucinando per loro le sue specialità: la “tortilla de morcilla burgos”, la paella e tanto altro ancora.

Sulla bontà di queste pietanze, però, non posso dare alcun giudizio visto che mi sono fermato solo pochi minuti, senza assaggiare nulla.

 

Intorno alle dieci attraverso Villafranca Montes de Oca che nel Medioevo è stata una importante località di accoglienza dei pellegrini.

Qui gli antichi viandanti si fermavano a dormire una o più notti, prima di affrontare il tratto dei Montes de Oca che porta a San Juan de Ortega, percorso che un tempo era infestato da lupi famelici e briganti assassini.

È proprio a Villafranca Montes de Oca che termina la parte pianeggiante dell’odierno cammino e anche per noi, come per i pellegrini del passato, comincia l’ascesa verso il punto più alto della tappa.

La pendenza è piuttosto impegnativa, considerando che in tre chilometri si sale di quota di duecento metri.

Fortunatamente, ai giorni nostri, a parte la fatica della salita, la situazione non è più come nel passato e non si corrono i pericoli di una volta.

 

Verso i Montes de Oca
Verso i Montes de Oca

Il paesaggio cambia e il sentiero che percorriamo attraversa un bosco di querce “pirenaiche”.

Da notare che questa denominazione, nonostante sia quella scientifica, è impropria, poiché sui Pirenei di questi esemplari se ne vedono pochissimi.

 

Lungo la salita incontro Anna, l’arzilla signora francese che inspiegabilmente, anche dopo averla superata, ritrovo sempre davanti a me.

Nonostante continui a portare sulle spalle lo zaino in modo un po’ sbilenco, Anna procede sempre con passo sicuro e svelto.

Passiamo assieme dalla Fuente de Mojapan, un’area attrezzata lungo la salita dove poter riposare e riprendere fiato; sia io che lei, però, non cogliamo l’occasione per fare una sosta per non spezzare il ritmo dell’ascesa.

 

Dopo una buona mezz’ora di cammino sono a 1.160 metri di altitudine: eccomi all’Alto de la Pedraja, la quarta quota più alta di tutto il Cammino francese.

 

Poco più avanti incontro un monumento eretto per ricordare trecento uomini fucilati nel 1936 all’inizio della guerra civile spagnola, caduti per difendere gli ideali politici e la libertà.

Proprio in questo stesso luogo, tra il 2010 e il 2011, sono state trovate le fosse comuni con i resti di quelle vittime.

 

Giunto a questo punto, contrariamente a quel che si possa pensare, la fatica non è terminata. Da qui il sentiero scende rapidamente di quota di circa un centinaio di metri per subito risalire di altrettanti metri; il tratto segna esattamente una grande V che, con un solo colpo d’occhio, posso vedere dall’alto per intero prima di affrontarlo.

 

Percorso il repentino saliscendi e riguadagnata l’altitudine, il sentiero diventa presto largo e pianeggiante, fiancheggiato da fitti boschi.

Intorno alle dodici incontro un punto di ristoro all’aperto, attrezzato con sedute e basi d’appoggio, entrambi realizzati con tronchi d’albero.

Il luogo è gestito da una giovane donna che, con gran varietà, offre da mangiare e da bere: organizzato con la formula del “donativo”, si può prendere quel che si desidera e dopo si lascia un’offerta in denaro.

 

Prendo una buona “empanada” con la carne. Nel frattempo sopraggiungono anche Rocco e Dante e così apparecchiamo un banchetto e mangiamo tutti insieme, anche le provviste che abbiamo con noi: d’altra parte l’ora è proprio quella dello spuntino di metà giornata!

Con noi si siedono anche due ragazze coreane che vediamo per la prima volta: facciamo presto amicizia e alla fine non manchiamo di scattare una foto ricordo.

 

Anche se c’è il sole e si sta bene, preferisco non trattenermi a lungo, perché se resto fermo troppo tempo dopo diventa difficile ripartire; inoltre, non voglio arrivare tardi alla meta rischiando di non trovare posto nel monastero/ostello.

Così lascio gli amici, che rimangono ancora a banchettare e a chiacchierare, e mi avvio per il largo sentiero sterrato, talmente largo da sembrare quasi un’autostrada in mezzo al bosco.

Il sole si fa sentire e sono necessari cappello e foulard per proteggere il collo da una possibile scottatura.

Di tanto in tanto mi dà sollievo qualche nuvola passeggera che smorza l’effetto dei raggi solari.

Sono a circa 1.130 metri d’altitudine, mentre San Juan de Ortega è a 1.000 metri; prima di arrivare ci sono ancora poco più di cinque chilometri, pertanto il percorso che rimane da compiere sarà tutto una tranquilla discesa.

 

Mancano poche centinaia di metri alla meta quando un nuvolone nero, proprio sopra la mia testa, m’infastidisce lanciandomi dei goccioloni d’acqua.

Aspetto un poco prima di organizzarmi per la pioggia e intanto, con la speranza che smetta, affretto il passo.

Purtroppo la pioggerella non accenna a farla finita; anzi, pare proprio che vada ad aumentare.

Così metto giù lo zaino, recupero il piccolo ombrello che ho con me per eventuali piogge leggere, rimetto lo zaino sulle spalle, riprendo a camminare e, come vuole la “legge di Murphy”, ecco che smette subito di piovere.

Impreco un poco però allo stesso tempo sono contento perché ormai sono giunto alla conclusione di questa undicesima giornata di cammino.

 

L’orologio segna le 13:30 mentre arrivo al monastero di San Juan de Ortega.

Sono il trentesimo di oggi e quindi mi viene assegnato senza problemi uno dei sessanta letti che dispone l’ostello; chi arriverà più tardi, quando tutti i posti saranno occupati, non potrà far altro che proseguire.

Il paese seguente è Atapuerca, più o meno a sei chilometri di distanza, ovvero a circa un’ora e mezza di cammino.

 

Pago 10 Euro per l’alloggio in ostello e altri 9 per la cena che stasera verrà servita nello stesso monastero.

 

Dopo aver fatto la doccia e anche il bucato vado in giro per la solita visita turistica del luogo.

La località è composta solo dal monastero e da quattro case, con un totale di diciassette abitanti; così, l’unica cosa che rimane da visitare è la chiesa.

 

San Juan de Ortega
San Juan de Ortega

San Juan de Ortega fa parte dei luoghi più significativi dell’intero Cammino di Santiago.

Il Santo, a cui è intitolata la località, collaborò con santo Domingo per agevolare i pellegrini nel transito di questa difficile parte del Cammino. Si stabilì qui creando una piccola comunità monastica e qui stesso fu sepolto dopo la sua morte, nel 1163.

Il complesso monastico, in stile romanico e gotico, fu completato tra il XII e il XIII secolo, seguendo i piani concepiti dallo stesso Juan de Ortega.

L’interno della chiesa è a tre navate. Entrando si nota subito un baldacchino gotico dove sono scolpite diverse scene sulla vita e sui miracoli del Santo.

Nell’abside destro si trova un semplice sepolcro nel quale sono custoditi i resti mortali di san Juan de Ortega.

Un capitello di epoca romanica, in cui è raffigurata l’Annunciazione, nell’ora del tramonto dei giorni dell’equinozio viene illuminato per pochi minuti da un raggio di sole.

Purtroppo, non è possibile visitare la cappella intitolata a san Nicola di Bari perché al momento è chiusa. Questo edificio, che racchiude altri tesori artistici e architettonici, è la parte più antica del monastero; san Juan de Ortega fece costruire la cappella come ringraziamento a san Nicola per essere scampato a un naufragio durante il rientro dalla Terra Santa

 

Una volta terminata la visita della piccola chiesa e fatto un brevissimo giro nelle vicinanze del monastero, complice il fatto che comincia a piovere in modo persistente, non mi resta altro da fare che cogliere l’occasione per andare a distendermi sulla branda.

 

Alle sei, ritorno in chiesa per assistere alla messa del pellegrino.

La funzione e parecchio affollata e dura appena mezz’ora; subito dopo si va tutti a cena.

 

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Questa sera il menù comprende la famosa zuppa d’aglio che tradizionalmente veniva preparata dal vecchio parroco don José Mari, morto già da alcuni anni.

Al giorno d’oggi, un gruppo di volontari si occupa della gestione del monastero e dell’accoglienza dei pellegrini.

La zuppa ci è piaciuta abbastanza ma tutto il resto del menù, pasta con sugo non identificato, lomo, insalata e patatine, non sono stati graditi da nessuno dei commensali.

Da parte mia posso affermare che questa è stata la peggior cena di tutto il Cammino. Probabilmente sarebbe stato meglio andare a mangiare un “bocadillo” o un “plato combinado” al Bar Marcela, l’unico punto di ristoro del luogo che si trova proprio accanto al monastero.

 

Dopo cena resto un poco a chiacchierare con alcuni amici pellegrini e poi, alle nove e mezza, vado a dormire.

© Aldo Lardizzone 2020 Licenza Creative Commons CREATIVE COMMONS

 

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