Passo dopo passo sul Cammino di Santiago 

Da Villafranca del Bierzo a O Cebreiro

5 giugno 2018
Tappa 26 – Km. 29

Villafranca del Bierzo. Antico pellegrino vigila il passaggio sul río Burbia
Villafranca del Bierzo. Antico pellegrino vigila il passaggio sul río Burbia

 

 

La tappa che mi accingo a percorrere, la ventiseiesima, sarà per me una prova del nove.

Dopo i tanti giorni di sofferenza per via dei forti dolori agli stinchi, spero di non dover patire altro e compiere senza problemi l’odierno itinerario, caratterizzato da una lunghezza di quasi trenta chilometri e da un dislivello di quota di circa mille metri.

Da oggi, inoltre, riprendo a caricare sulle spalle anche gli otto/dieci chili dello zaino.

Negli ultimi giorni, per evitare che il carico gravasse anche sulle gambe, ho evitato di portare il pesante fardello e ne ho affidato il trasporto a un corriere.

 

Con un cielo imbronciato e piovigginoso e la solita aria fredda del mattino che ancora una volta impone un abbigliamento pesante, cominciamo a camminare intorno alle 6:30.

Considerando la lunga e impegnativa tappa che ci aspetta, sarei voluto partire una mezz’ora prima ma, purtroppo, la sveglia nidificata in me che ogni giorno mi desta naturalmente, stamattina ha ritardato: evidentemente, dopo tanti giorni di cammino, la stanchezza comincia a farsi sentire e il mio corpo reclama un po’ di riposo in più.

 

Stamane il nostro piccolo gruppo di pellegrini, registra la presenza della nuova giovane amica belga, Amandine.

 

Lasciando Villafranca del Bierzo, a segnare l’uscita dal centro abitato è ancora un ponte romano; in questo caso, l’antica struttura è costituita da spessi muri in pietra e da tre grandi archi.

All’inizio del ponte sopra il río Burbia, a salutare il passaggio dei viandanti c’è la statua di un pellegrino caratterizzato dai simboli jacobei: il bordone, la concha, la calabaza e la cruz de Santiago scolpita sul petto.

Mentre il buio è ancora predominante, il passaggio sul ponte è reso molto suggestivo dalla luce giallo-oro dei lampioni e dal colore blu scuro che il cielo ha assunto con i primi bagliori del giorno.

 

La bellezza e la solitudine delle montagne che fanno da scenario al nostro cammino, coperte da una fitta vegetazione ad alto fusto, raccontano di lontani tempi passati. Questi luoghi furono rifugio prediletto da molti eremiti conferendo alla zona la fama di centro spirituale di prim’ordine.

Per gli amanti delle escursioni nella natura, questa meravigliosa regione offre svariati itinerari che ne scalano le colline e ne solcano le valli.

 

Per una buona prima metà della tappa, pur attraversando un paesaggio molto bello, chi come noi percorre il Cammino verso Santiago de Compostela viene penalizzato dal procedere a fianco della superstrada N-VI e dal passaggio sotto ad alcune imponenti campate della autovía del Noroeste.

Mentre da un lato abbiamo il passaggio dei mezzi a motore, che toglie poesia al nostro cammino, dall’altra parte ci tiene compagnia il lento scorrere del río Valcarce, fiume che si snoda in modo pressoché parallelo alla striscia d’asfalto che percorriamo.

Per fortuna il traffico stradale non è molto intenso e, tra il passaggio di un mezzo e quello successivo, rimangono ampi spazi di silenzio.

È proprio durante questi momenti che possiamo udire il delicato suono che emettono le placide acque mentre scivolano sul letto roccioso. Sembra quasi di ascoltare i racconti di un “vecchio saggio” che, con calma e con dovizia di particolari, narra le storie di cui è stato testimone nel corso della sua esistenza.

Il fiume è sempre stato l’emblema del tempo che scorre e che fugge via ed è per questo che mi viene da pensare che il vecchio río Valcarce sia depositario delle storie dei tanti pellegrini che gli sono passati accanto nel corso dei secoli.

 

Mentre camminiamo, percepiamo chiaramente la pendenza della salita anche se lo strappo maggiore si registrerà nell’ultima parte del percorso.

La giornata continua a essere uggiosa e a tratti ci accompagna la pioggia.

 

A Trabadelo facciamo la prima fermata di oggi.

Sono circa le nove ed è arrivato il momento di sostare in un bar, sia per soddisfare i bisogni fisici sia per mangiare qualcosa, dato che la frugale colazione fatta stamattina in ostello l’abbiamo bruciata già da un pezzo.

 

Una brevissima deviazione dalla via principale di Trabadelo mi permette di dare uno sguardo all’unico monumento del paesino, la piccola chiesa medievale dedicata a san Nicolás.

L’elemento predominante della semplice facciata è il campanario, strutturato come un’alta parete a tre livelli, di cui quello sommitale è a punta. Le campane sono alloggiate all’interno di tre archi semicircolari.

L’architettura di questa chiesa è tipica degli edifici religiosi rurali della regione e la si trova replicata piuttosto spesso.

 

Dopo Trabadelo, il percorso che seguiamo si snoda intrecciandosi ancora con il río Valcarce, con la superstrada e con l’autostrada.

 

Nel frattempo ho perso le tracce degli amici con cui mi sono messo in cammino stamattina.

Sono andati tutti più avanti mentre io preferisco procedere più lentamente: non sollecitando troppo le gambe spero di evitare l’insorgere di nuovi problemi fisici, specialmente oggi che ho ricominciato a portare lo zaino.

Camminare con calma è anche un modo per godere maggiormente del paesaggio, privilegiando il piacere del viaggio alla meta da raggiungere.

 

Sono le dieci e mezza mentre arrivo a Vega de Valcarce.

Secondo una leggenda, il piccolo borgo fu fondato da una famiglia della Galizia che, prima di costruire la propria casa, visse all’interno di un castagno.

Il centro del paese è di stampo medievale ed è caratterizzato dalla iglesia de la Magdalena. Costruita nel XVII secolo, la chiesa è stata rimaneggiata più volte nel corso dei secoli, fino agli ultimi lavori di restauro completati negli anni Ottanta del Novecento.

L’edificio è a navata unica e il campanile a pianta quadrata presenta doppi archi semicircolari nella parte alta di ciascun lato.

 

Su una collina non molto distante dal paese, sorge il castillo de Sarracín, del X secolo, giunto ai giorni nostri in discrete condizioni.

Per vederlo bisognerebbe andarci apposta, allungando il percorso di almeno un paio di chilometri.

Visto però che l’odierna tappa è già di suo piuttosto lunga e impegnativa rinuncio alla visita e proseguo diritto.

 

A Ruitelán mi fermo per una pausa al Caffè-Bar Omega: sono le undici e, dopo quattro ore e mezza di cammino, ho proprio voglia di una tortilla.

All’interno dell’accogliente locale incontro Anna, l’insegnante francese che per un periodo ha proceduto insieme a Juanì e che adesso è insieme a un nuovo compagno di Cammino.

Le chiedo notizie della nostra comune amica spagnola, rimasta indietro di qualche tappa; anche lei però ne ha perduto le tracce già da diversi giorni.

 

Dopo un’altra ora di cammino, eccomi a Las Herrerías. Sono così giunto a 675 metri d’altitudine, praticamente a metà della quota massima che dovrò raggiungere per arrivare alla conclusione di questa tappa.

Prima dell’arrivo mancano ancora nove chilometri e la maggiore difficoltà del percorso comincia adesso: il tratto più ripido, che porta alla quota di 1.300 metri de O Cebreiro, parte proprio da qui.

Las Herrerías è inoltre il punto da dove il Cammino di Santiago finalmente si allontana dalle arterie stradali.

Anche se il percorso prosegue ancora su strada asfaltata, il mio camminare lento è diventato molto più piacevole, senza il passaggio ravvicinato dei mezzi motorizzati.

Solo il clima non accenna a una tregua e di tanto in tanto non mi fa mancare qualche scroscio di pioggia.

 

Bosco del Bierzo
Bosco del Bierzo

Nonostante il forte strappo dovuto alla pendenza, il paesaggio tutt’attorno mi ripaga della faticosa salita.

Man mano che vado avanti è tutto un susseguirsi di verdissime colline, ricoperte da una compatta vegetazione: tanto fitta che quasi non riesco a scorgere il cielo sopra di me; tanto fitta da farmi da ombrello, riparandomi dalla pioggia.

Rigogliosi castagni secolari, boschi di pini e vigneti sono il preludio di quella che sarà l’ultima parte del Cammino francese mentre attraversa la verde regione della Galizia.

Questo territorio è costellato di minuscoli paesi con antiche case in pietra, di monasteri che trasudano storia, di ferriere che testimoniano un’antica economia industriale e di fattorie dove gli animali che pascolano liberamente sono sinonimo di prodotti genuini.

 

La castagna è la principale protagonista del Bierzo, tanto importante da essere celebrata in autunno con il “Magosto”, un festival a lei dedicato che si svolge in tutta la regione.

Alla “tardiña”, ovvero quando il sole sta tramontando, la gente si raccoglie attorno al fuoco e mentre i tamburi suonano, le castagne vengono arrostite e mangiate calde accompagnate con patate e buon vino.

 

A mezzogiorno e mezzo sono a La Faba.

Qui ritrovo Rocco e Amandine, comodamente seduti accanto a un abbeveratoio mentre coccolano un cagnolone dal pelo lungo e chiaro.

Riprendiamo a camminare insieme.

Il percorso abbandona l’asfalto e prosegue lungo un sentiero sterrato. Camminiamo dapprima all’interno di un fitto bosco e quando ne siamo fuori il panorama si apre e la vista può spaziare sulle valli sottostanti.

Nel frattempo siamo saliti di quota e, grazie all’assenza della nebbia che spesso avvolge questi paesaggi, possiamo vedere dall’alto i boschi che abbiamo attraversato.

Ancora una volta è il verde intenso a predominare, anche se qualche tocco di colore a contrasto è dato, qua e là, dai cespugli di una particolare ginestra bianca.

 

Dopo un’altra ora di cammino sempre in salita, eccoci arrivati a La Laguna. Si tratta dell’ultima località della provincia della Castilla y León prima di arrivare al confine con la Galizia, a circa un chilometro da qui.

 

Mentre cammino e sono ormai prossimo alla conclusione di questa impegnativa tappa, ancora una volta mi vengono in mente gli antichi pellegrini che compivano lo stesso tragitto senza le facilitazioni dei nostri giorni, affrontando anche le difficoltà del clima nei mesi più rigidi.

In inverno, questi luoghi sono ricoperti dalla neve alta, le ore di luce sono ridotte e la nebbia offusca ogni cosa. A tutto questo si sommi il freddo, la forte pendenza e chissà quali altre difficoltà.

Si dice che – la fede muove le montagne – in questo caso direi invece che – la fede faceva muovere i pellegrini, attraverso queste “difficili” montagne. –

Nei primi secoli del secondo millennio, un massiccio pellegrinaggio ha visto un intenso flusso di persone attraversare questi luoghi impervi, spinti da un sentimento religioso e dalla tenace volontà di mantenere una promessa.

Pensando a tutto questo, posso ritenermi fortunato se mentre affronto la salita mi tocca subire solo una banale pioggerella.

Tra l’altro, anche le gambe stanno tenendo bene e posso essere contento di non accusare alcun dolore.

 

La stele che segna l'inizio della Galizia
La stele che segna l'inizio della Galizia

Sono le tredici e quaranta mentre giungo al cospetto di una grande insegna in pietra che segna l’ingresso in Galizia.

Anche questo è un momento significativo del mio Cammino: dopo aver attraversato la Navarra, la Rioja e l’interminabile Castilla y León con le sue “mesetas”, mi dà molta soddisfazione essere arrivato fin qui, sentendomi ripagato per gli sforzi compiuti.

Da questo punto, restano da coprire gli ultimi 160 chilometri per arrivare a Santiago de Compostela: si tratta quindi di poca cosa se questi vengono rapportati ai 600 già percorsi.

Qui in Galizia, il Cammino è segnato da pietre miliari con specifiche fattezze: oltre alla presenza dei simboli jacobei, vi sono attaccate sopra due etichette in ottone, dove in una è riportato il marchio dell’Unesco, che ha riconosciuto il Cammino come “Patrimonio dell’Umanità” in Spagna, mentre nell’altra sono indicati i chilometri che mancano all’arrivo a Santiago de Compostela.

 

Dal confine della Galizia, per giungere alla conclusione della tappa di oggi, rimane da percorrere poco più di un chilometro.

Il sentiero è sterrato e la salita ci dà gli ultimi colpi di frusta: in quest’ultimo breve tratto, il dislivello di quota è di quasi cento metri.

 

L'arrivo al O Cebreiro
L'arrivo al O Cebreiro

Alle 14:00 in punto anche O Cebreiro è conquistato.

Arrivando in paese, s’incontra una croce viaria e a poca distanza da questa c’è un semplice monumento; quest’ultimo riproduce la mappa dell’Europa con una fitta rete di Cammini che portano a Santiago de Compostela, partendo dai punti più estremi del vecchio continente.

 

Alloggiamo nell’Albergue do O Cebreiro della Xunta de Galizia, situato all’uscita del paese.

 

Mentre facciamo l’accettazione, viviamo dieci minuti di panico, perché l’amico Rocco non trova più la sua carta d’identità e senza questa l’alloggio nell’ostello gli viene negato.

Dopo aver immaginato svariati possibili scenari su dove abbia potuto lasciare il documento, e poco prima di recarsi alla Guardia Civil spagnola per fare la denuncia di smarrimento, scopre di averlo con sé e di non averlo mai perduto.

Una delle ipotesi a cui ha pensato, prima di ritrovare il documento dentro al suo zaino, è stata quella di averlo lasciato nell’ostello di Villafranca del Bierzo: in questo caso, l’unica soluzione per riaverlo sarebbe stata quella di prendere un taxi per andare a recuperarlo e poi tornare indietro.

 

***

L’ostello è comunale e costa appena 6 Euro.

Ristrutturato una decina di anni fa, si presenta come una ottima struttura ben organizzata. Ci sono 104 posti e un buon numero di docce e servizi igienici.

 

La igrexa de Santa María a Real do O Cebreiro
La igrexa de Santa María a Real do O Cebreiro

Intorno alle diciassette, usciamo per visitare l’affascinante O Cebreiro.

Sia le case che la pavimentazione delle stradine sono tutte in pietra.

La scenografia del piccolo paese, che ci catapulta in un’epoca antica, è resa ancor più suggestiva dalla nebbia che, come spesso accade qui, è calata da poco e ha avvolto ogni cosa.

 

Visitiamo la igrexa de Santa María a Real do O Cebreiro, chiesa del IX secolo che è annoverata tra i monumenti più antichi del Cammino.

 

(Da notare che “chiesa” qui non si dice “iglesia” come in spagnolo ma in lingua gallega è tradotta con la parola “igrexa”. Questo è un esempio per evidenziare che in Galizia si parla un idioma proprio, derivato dall’influenza del portoghese; pertanto, nella regione molti termini si differenziano dalla lingua ufficiale che si parla in Spagna.)

 

L’antica chiesa dedicata alla Vergine Maria, costruita in epoca preromanica, è composta da tre navate e la bellezza della costruzione sta nella primitiva semplicità delle sue fattezze architettoniche.

All’interno è custodito il “Cáliz del milagro”, un calice legato a un evento miracoloso.

Si narra che in una giornata d’inverno del 1300 non meglio precisata, un contadino andò in chiesa per sentire la messa, affrontando una eccezionale tormenta di neve.

Il prete, che in un giorno così tetro non si aspettava che venisse alcuna persona, dimostrando un’evidente mancanza di fede, carità e tatto, derise il fedele pensando che l’allocco avesse fatto tutta quella fatica solo per mangiare un po’ di pane (l’ostia) e bere un sorso di vino dal calice.

Giunto il momento dell’eucarestia l’ostia si trasforma in carne e il vino diventa sangue.

Grazie alla diffusione della notizia del miracolo, il santuario ha ottenuto varie bolle papali e privilegi reali; il calice miracoloso è addirittura riprodotto sullo stemma della Galizia.

I due protagonisti della storia, il prete e il contadino, alla loro morte sono stati sepolti nella stessa chiesa, vicino al luogo del miracolo.

 

La tomba di Don Elías Valiña Sampedro
La tomba di Don Elías Valiña Sampedro

Un’altra tomba all’interno della chiesa è quella di Don Elías Valiña Sampedro, il parroco di O Cebreiro che nei primi anni Ottanta del Novecento, ha ricostruito l’intero tracciato del Cammino di Santiago, dopo averlo studiato per lungo tempo.

Partendo da Saint-Jean-Pied-de-Port e utilizzando pennello e vernice, ha segnato l’itinerario con delle frecce gialle, creando così lo stesso simbolo utilizzato ai giorni nostri per indicare ai pellegrini la strada da seguire.

Il sacerdote può essere considerato come un grande visionario, avendo intuito che i suoi studi e la sua opera avrebbero condotto un gran numero di persone sulla via medievale che dalla Francia porta in Galizia, fin alla tomba dell’Apostolo Giacomo.

Il 1993 può essere considerato come l’anno della rinascita del Cammino di Santiago; peccato, però, che Don Elías non abbia potuto vedere gli effetti dei suoi sforzi perché morto prematuramente appena quattro anni prima.

 

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Dopo aver visitato la chiesa, facciamo ancora un giretto tra le stradine del centro abitato. Il freddo si fa sentire e non invita a rimanere per molto tempo all’aperto. Decidiamo quindi di fare ritorno in ostello ma prima ci fermiamo ad acquistare qualcosa per la colazione di domattina.

 

A sera andiamo a cena alla Mesón Antón, un ristorantino dall’ambiente molto accogliente, ovviamente pieno di tanti pellegrini come noi.

Personalmente non manco di provare le specialità del posto: peperoni ripieni con merluzzo; grigliata mista di carne e per finire una fetta di torta, la cosiddetta “tarta di Santiago”, una ricetta tipica della cucina gallega.

La caratteristica di questo dolce è quella di non contenere farina bensì polvere di mandorle, oltre a uova e zucchero; tutti e tre gli ingredienti sono dosati in parti uguali. La decorazione sulla torta, disegnata con zucchero a velo, è la “Coquille Saint Jacques” ovvero la Croce di Santiago, uno dei simboli del pellegrinaggio jacobeo.

© Aldo Lardizzone 2020 Licenza Creative Commons CREATIVE COMMONS

 

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