Passo dopo passo sul Cammino di Santiago 

Da Triacastela a Barbadelo

7 giugno 2018
Tappa 28 – Km. 28

Il Cammino attraverso i boschi dopo Triacastela
Il Cammino attraverso i boschi dopo Triacastela

 

 

Alle 6:30 lasciamo l’ostello e prima di uscire da Triacastela ci tocca scegliere il percorso da seguire: ancora una volta il Cammino ci propone due vie alternative.

La prima è più diretta ma con salite e discese; invece la seconda, che è più pianeggiante e che porta ad allungare di ben cinque chilometri, ha di buono che passa da Samos, dove c’è l’imperdibile monastero benedettino.

Anche Giulia, che ieri pomeriggio ha proseguito fino a Samos, ci ha confermato con messaggi e foto che l’edificio religioso merita davvero di essere visto.

Rocco e Amandine concordano con me, scegliendo il tragitto più lungo che passa da Samos, mentre Giovanna preferisce intraprendere la via più breve.

Così, il gruppo con cui cammino si modifica ancora una volta perdendo un altro componente.

Ieri mattina eravamo in cinque mentre a distanza di ventiquattrore siamo rimasti in tre.

La “liquidità” dei gruppi, dimostra anche in questa occasione l’assoluta libertà che ognuno può ritagliarsi secondo i propri desideri, pur condividendo parte del Cammino con altri pellegrini.

 

Rispetto a ieri, le condizioni del tempo sono rimaste pressoché uguali, anche se al momento non pioviggina ancora.

Ormai non facciamo più caso al clima uggioso; anzi, possiamo ritenerci fortunati perché senza il sole persistente e le temperature molto alte non abbiamo problemi di sudorazione, di perdita di sali minerali, di possibile disidratazione e di tutto quel che ne può derivare a cascata.

 

La meta che oggi ci prefiggiamo di raggiungere è Barbadelo; però non è detto che alla fine non decideremo di fermarci a Sarria, che si trova cinque chilometri prima.

Come al solito, questa sarà una decisione che prenderemo strada facendo.

 

Dopo Triacastela, i primi tre chilometri che percorriamo fiancheggiano la strada carrozzabile.

Poco prima di arrivare nel paese di San Cristobo do Real, il sentiero lascia l’asfalto e continua su sterrato, passando all’interno di fitti boschi.

L’ambiente, pur essendo quello tipico della Galizia, sempre verde e lussureggiante, cambia in continuazione, chilometro dopo chilometro.

Castagni e querce vivono rigogliosi in questo ambiente umido, attraversato dal río Oribio.

Durante il nostro avanzare, vediamo ancora diverse case rurali in pietra, alcune piuttosto fatiscenti.

Agglomerati di pochi edifici compongono minuscoli centri abitati, che forse “abitati” non lo sono più, dato che spesso non si vede alcuna anima viva in giro.

E poi non mancano le piccole chiese, con attorno i cimiteri che emanano un fascino tutto loro: tetro e suggestivo allo stesso tempo.

Tra le tante che incontriamo si distingue la igrexa de San Martiño do Real, che si trova nell’omonimo paesino.

La chiesa è in stile romanico rurale ma esternamente differisce dalle altre per le pareti lisce e bianche, senza alcuna decorazione, mentre la copertura è in ardesia, com’è tipico nella regione.

 

Mentre attraversiamo San Martiño do Real, sono le otto e mezza e per giungere a Samos manca ormai poco più di un chilometro.

È in questo breve tratto che vedo in lontananza la sagoma di una pellegrina solitaria che mi sembra di conoscere.

Quando mi avvicino, il dubbio diventa certezza: è proprio lei, Judith, la simpatica madrilena conosciuta a Pamplona che si occupa di discipline orientali.

È da un bel po’ di tempo che non ci vediamo ed è un grande piacere ritrovarci mentre percorriamo questi boschi solitari.

Anche se probabilmente interrompo il suo percorso di meditazione, proseguiamo insieme e non manchiamo di raccontarci le vicissitudini dell’ultimo periodo.

 

Samos. Il monastero benedettino
Samos. Il monastero benedettino

Samos. Particolare del monastero
Samos. Particolare del monastero

Sono le otto e quarantacinque ed eccoci arrivati alle porte di Samos.

Mentre entriamo in paese vediamo dall’alto il complesso monastico dei benedettini, intitolato a san Julián.

Già da qui appare molto suggestivo.

La struttura è davvero di grandi dimensioni ed è praticamente incassata tra quattro alte montagne ricoperte da folti boschi.

Dal monastero, la visuale verso l’esterno è limitata dai rilievi che lo circondano. Per questo motivo si dice che – possono vedere il monastero solo le stelle che gli stanno sopra, mentre chi sta dentro può ammirare solo il Cielo –, quest’ultimo inteso come il “Paradiso”.

La prima costruzione del monastero risale al VI secolo ma, col passare del tempo, è stato rimaneggiato più volte, tanto che oggi la struttura è caratterizzata da tre stili architettonici differenti: gotico, rinascimentale e barocco. Del periodo romanico rimangono solo pochissimi elementi.

Costruito con lastre di ardesia, l’edificio appare austero all’esterno mentre all’interno mostra nobiltà ed eleganza, con i suoi chiostri in granito.

Il monasterio de San Julián de Samos, oltre a essere tra i più grandi d’Europa, è anche il più antico monastero abitato in Spagna, un luogo santo e venerabile.

Come nel passato, anche ai giorni nostri i monaci benedettini accolgono i pellegrini diretti a Santiago de Compostela.

All’interno del monastero c’è un “albergue” che conta una settantina di posti letto in un unico dormitorio. La sistemazione, nella tradizione monastica, è molto spartana e i confort sono ridotti al minimo se non addirittura inesistenti, come ad esempio il riscaldamento.

 

Giunti nel centro del paese, abbiamo una nuova prospettiva del monastero, che non è da meno rispetto a quella già vista dall’alto.

Ampi prati verdi, il río Sarria che scorre vicino e il ponticello che scavalca le calme acque del fiume, sono gli elementi che fanno da cornice alla grande struttura monastica, restituendo un’immagine da cartolina molto suggestiva.

 

La pace e la tranquillità del posto, ci invogliano a fare una lunga pausa. Così, dopo aver visto il bel monastero, ci accomodiamo all’interno di un bar per prendere qualcosa da mangiare e fare due chiacchiere.

Quando andiamo via, salutiamo Judith che rimane ancora un po’ intenta a scrivere il suo diario e probabilmente a elaborare le sue riflessioni.

 

Sono circa le dieci mentre usciamo da Samos. L’ultima piazzetta da cui passiamo celebra la “Via” per Santiago con diverse statue di pellegrini in cammino.

 

Costeggiamo il río Sarria e appena dopo il centro abitato veniamo nuovamente inghiotti dai lussureggianti boschi della Galizia.

Dopo Samos, che è un grande comune che conta circa mille e trecento residenti, gli altri paesi che incontriamo sono piccoli e fatiscenti, così come i tanti che abbiamo già visto strada facendo.

Quando i boschi lasciano spazio ad ampie radure, allora lo scenario diventa quello della vita agreste con piccole fattorie padronali e bovini al pascolo.

Qui gli animali vivono liberi, senza le costrizioni imposte dagli allevamenti intensivi dove, stipati in spazi angusti, vengono invece trattati come “macchine” per la produzione del latte.

 

Questi scenari d’altri tempi, per noi cittadini abituati agli schemi metropolitani del XXI secolo, risultano piuttosto inconsueti.

In prevalenza, la storia si è sempre occupata di grandi battaglie, di manovre politiche, di sovrani, di rivoluzionari, di castelli e di altre residenze nobiliari, tralasciando spesso di raccontare quali erano nel passato le condizioni di vita della gente comune e delle lotte quotidiane che ogni persona doveva combattere per sopravvivere.

Passare da questi luoghi, mi sembra come sfogliare un libro mai letto prima, di tornare indietro nel tempo e apprendere la storia attraverso i racconti che partono dal basso, dai semplici episodi della vita di tutti i giorni.

 

La variante dopo Triacastela, che ci ha portato a passare dal monastero di Samos, ad Aguiada si ricongiunge con il percorso originale del Cammino francese, il quale invece passa per la valle di San Xil.

Da Aguiada in poi, il Cammino prosegue in un’unica via fino a Santiago de Compostela, senza più dare al pellegrino l’incombenza di fare scelte di percorso.

 

Sono le tredici e trenta mentre facciamo il nostro ingresso a Sarria.

 

Ci danno il benvenuto grandi e colorati disegni murali che ovviamente hanno come tema il Cammino di Santiago.

In uno di questi, è rappresentato in primo piano un pellegrino con un bel faccione simpatico, un cappello a larghe tese e una lunga e folta barba bianca. Proprio lo stereotipo del viandante d’altri tempi.

Guarda caso, giusto in questo momento, si trova a passare un pellegrino americano che già altre volte ho incontrato lungo il Cammino.

È proprio identico al personaggio raffigurato: stessa età apparente, stessa forma del viso, stessa barba e stesso cappello.

– Sembrano due gocce d’acqua! –

Data la coincidenza, non riesco a fare a meno di chiedergli di posare accanto al disegno per scattare una foto “plurale” molto singolare.

 

Sarria è un grande centro abitato che conta oltre tredicimila abitanti, distribuiti su una superficie di quasi duecento chilometri quadrati.

La sua distanza da Santiago de Compostela è di appena 112 chilometri.

Da qui partono quelli che programmano di percorrere gli ultimi “cento chilometri” del Cammino di Santiago.

 

Tanti i pellegrini che si vedono in giro. Sono appena arrivati in città provenienti dai propri luoghi d’origine e non vedono l’ora di incominciare la loro “avventura”.

Si riconoscono dalle scarpe da ginnastica nuove e ben pulite, dall’abbigliamento da lezione di pilates in palestra, dallo zainetto minimale e dalla faccia fresca e riposata; qualche donna, ha anche un accenno di trucco sul viso.

S’incontrano anche gruppi precostituiti di amici o, addirittura, organizzati da qualche tour operator.

– Mi sembra di vedere tanti adolescenti baldanzosi in gita scolastica. –

Non mi permetto di giudicare le scelte e le possibilità altrui, però lasciatemi dire che c’è una bella differenza tra chi comincia qui il Cammino di Santiago e chi lo ha iniziato in territorio francese ventotto giorni addietro e ha già percorso ben 630 chilometri, vivendo passo dopo passo tutte le difficoltà del Cammino.

Quando poi si arriva a Santiago de Compostela, sia chi ha percorso cento chilometri sia chi ne ha compiuti più di settecentocinquanta, verrà insignito allo stesso modo della Compostela, il documento rilasciato dalle autorità ecclesiastiche che attesta di aver percorso il Cammino di Santiago.

Senza dubbio non è una gara e non c’è un premio, però chi parte da Sarria, raccontando di aver fatto il Cammino, non dovrebbe dimenticare di aggiungere le tre parole che specificano la propria esperienza: “ultimi - cento - chilometri”.

 

***

Per noi, una possibile opzione per la tappa odierna potrebbe essere quella di rimanere a dormire qui a Sarria.

Amandine preferisce fermarsi, per via delle vesciche che non le danno tregua, mentre io e Rocco questa volta non ci facciamo prendere dalla pigrizia e continuiamo a camminare per raggiungere il prossimo paesino.

In questo modo, il gruppo si assottiglia ulteriormente e rimaniamo solamente in due a farne parte.

 

Una volta fuori da Sarria, ci ritroviamo ancora ad attraversare i verdi paesaggi bucolici che contraddistinguono la Galizia.

 

Compiamo in poco meno di un’ora questi ultimi quattro chilometri dell’itinerario odierno fino a Barbadelo, dove arriviamo intorno alle 15:00.

 

La tappa di quest’oggi è stata un po’ più lunga della media giornaliera per via della deviazione che abbiamo fatto per passare dal monastero di Samos.

Il percorso è stato bello e con un profilo abbastanza pianeggiante senza particolari difficoltà.

A posteriori posso dire che ne è valsa proprio la pena aver percorso la via alternativa.

 

Finalmente non ho più dolori alle gambe e ho ritrovato il mio passo normale.

I giorni di sofferenza sono ormai passati e restano nella mia memoria come una “cicatrice” che porto con fierezza.

So bene che le cicatrici sulla pelle, quelle procurate compiendo atti coraggiosi, hanno tutt’altra valenza; però, questo segno intangibile e indelebile che rimarrà nei miei ricordi del Cammino ha per me un valore speciale e mi rammenterà per sempre che – Con la tenacia e la volontà di provarci, ce la si può fare... anche quando sembra che tutto sia perduto. –

 

***

Alloggiamo a Casa Barbadelo, una struttura privata realizzata di recente.

I posti letto totali sono appena ventitré e le camere sono nuove, pulite e hanno buoni servizi igienici.

C’è anche un bar-ristorante e una piccola piscina di cui però non ce ne facciamo nulla, vista la temperatura fresca e la mancanza del sole.

 

La pioggia, assente per tutto il giorno, arriva proprio mentre ci accomodiamo all’aperto per fare uno spuntino, costringendoci a rifugiarci di corsa all’interno del bar.

 

È già il tardo pomeriggio mentre spiove e adesso, per me e Rocco, è arrivato il momento di andare alla scoperta di Barbadelo.

Anche in questo caso possiamo dire che il paese non esiste. In pratica siamo in mezzo alla campagna e ci sono, sparse qua e là, solo poche case di contadini contornate da piccoli appezzamenti di terreno.

Da queste parti le coltivazioni sono in prevalenza di ortaggi, diversamente dalle altre province che abbiamo attraversato che invece sono contraddistinte da grandi campi di cereali e da vigneti con lunghi filari.

 

Doña Elvira è una anziana contadina che ci fa visitare la sua piccola fattoria, mostrandoci ogni cosa: dagli animali alle colture, con dettagliate spiegazioni sulle lavorazioni per ottenere i prodotti derivati.

Con noi, ci sono anche dei simpatici giovani pellegrini che fanno gruppo tra loro e che abbiamo avuto modo di incontrare e di conoscere in diverse occasioni; sono Alexandra e Mauricio, di Medellìn in Colombia, e Roberto di Madrid.

La visita è un’altra occasione per conoscere uno spaccato di vita contadina che riporta a tempi antichi.

Rimaniamo nella fattoria a lungo, anche perché la simpatica contadina non mostra di avere fretta e si dedica a noi con piacere.

Alla fine arriva anche il marito, di ritorno a casa dopo un giorno di lavoro in campagna. Anche lui è contento di vederci e di raccontarci del loro mondo.

Troviamo entrambi eccezionali, per la lucidità di mente e la vitalità con cui svolgono il loro lavoro. Sono davvero da ammirare, in special modo se consideriamo le loro primavere. 

A occhio e croce, stimo che la loro età anagrafica si possa aggirare sugli ottant’anni; invece, per quanto sono attivi, di anni ne potrebbero avere benissimo una ventina di meno.

 

Continuando il nostro giro per le campagne di Barbadelo, vediamo degli allevatori impegnati a trasferire una mandria di frisone dal pascolo alla stalla. Sono le diciannove e trenta e, dopo la giornata trascorsa in libertà all’aria aperta, nonostante ci sia ancora la luce del giorno, anche per le vacche è tempo di tornare a “casa”.

 

Santiago pellegrino nella chiesa di Barbadelo
Santiago pellegrino nella chiesa di Barbadelo

In ultimo raggiungiamo la piccola chiesa di Barbadelo, intitolata a Santiago.

L’attuale struttura, originaria della seconda metà del XII secolo, fu eretta nel luogo dove esisteva già un monastero dipendente da quello di Samos, tanto che la chiesa è tutt’ora chiamata “Mosteiro”.

Conserva ancora parte del suo stile romanico, anche se nel XVIII secolo l’abside originale fu sostituita con quella attuale, a forma rettangolare.

L’elemento più emblematico dell’edificio è il campanile a base quadrata, posto lateralmente rispetto alla facciata.

Anche l’interno della chiesa è contraddistinto dalla curiosa architettura della torre che occupa un angolo della navata; alla sua base due arcate ne alleggeriscono l’ingombro e, allo stesso tempo, permettono l’accesso al campanile tramite una scala in pietra.

 

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In chiesa c’è solo l’anziano parroco, seduto in un angolo vicino all’ingresso.

L’ambiente è in penombra e per vederlo meglio gli chiedo se è possibile accendere le luci. La risposta del religioso è che posso attivare io stesso l’interruttore che si trova in sacrestia.

L’illuminazione ravviva la bella navata della chiesa e in particolare fa risaltare l’oro e gli altri colori del policromo retablo in stile barocco, dove la figura più rappresentativa è anche in questo caso quella dell’Apostolo Giacomo.

 

Sono le otto mentre ci sediamo a tavola nel ristorantino dell’ostello.

Come primo prendo un’ottima zuppa di lenticchie; a seguire un filetto di vitello con patate e concludo con una fetta di cheesecake. Il tutto, come al solito, accompagnato da una bottiglia di buon vino della Galizia.

 

Dopo cena, ancora una volta sono il sonno e la stanchezza a prevalere e pertanto, anche stasera, andiamo a letto ancor prima che il sole tramonti.

© Aldo Lardizzone 2020 Licenza Creative Commons CREATIVE COMMONS

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