Breve racconto di viaggio in Zambia / Zimbabwe

Il rafting sullo Zambesi, che carica di adrenalina!

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Uno spettacolare
Uno spettacolare "flip over" durante il rafting sullo Zambesi

 

15 agosto 2008

 

Un incessante rombo di tuono si sente sempre più forte mentre a bordo di un gommone ci avviciniamo lentamente all’imponente gola.

Una spaccatura dell’altopiano, netta come il taglio di un coltello, forma il canyon dalle alte pareti a strapiombo.

Al suo interno una persistente nuvola d’acqua è la tela sulla quale sono dipinti suggestivi arcobaleni iridescenti.

L’artista artefice di questo quadro è ancora una volta la Natura.

Più precisamente è il fiume Zambesi, le cui acque precipitano da oltre centocinquanta metri d’altezza lungo un costone di oltre un chilometro e mezzo.

Sono le famose Cascate Vittoria, annoverate tra le più maestose del pianeta.

Nei giorni scorsi le abbiamo già viste dall’alto, sia dal lato dello Zambia che da quello dello Zimbabwe. E poi, con una visione ancora più ampia, le abbiamo osservate dal cielo, sorvolandole in elicottero.

Sono davvero spettacolari e appaiono grandiose da ogni prospettiva.

Ma adesso, a vederle dal basso, l’imponenza delle spumeggianti cascate m’impressiona molto di più.

Mi fanno sentire piccolo, molto piccolo, rispetto alla vastità dello scenario.

 

Con i miei compagni d’avventura abbiamo già preso posto sul gommone con cui quest’oggi navigheremo lo Zambesi.

Lungo una distanza di circa ventiquattro chilometri, affronteremo ventitré rapide classificate tra il quarto e il sesto livello.
Quest’ultimo, è il massimo grado di difficoltà stabilito per questa disciplina ed è definito “incontrollabile”.

La navigazione dello Zambesi è descritta come estremamente difficile, con rapide lunghe e violente, forti pendenze e ampi dislivelli.

Gli istruttori ci hanno preparati al rafting con un lungo briefing fitto di nozioni teoriche e per finire ci hanno dotati di mutino, giubbotto salvagente, casco e pagaia.

Durante la discesa del fiume ogni membro dell’equipaggio sarà parte attiva. Ciascuno di noi dovrà dare il proprio contributo seguendo le precise indicazioni che la guida sul gommone impartirà di volta in volta.

“Flip over” è un’espressione che mi è rimasta subito impressa nella mente e viene utilizzata per descrivere il ribaltamento del gommone.

Non si tratta di un’eventualità remota e pertanto bisogna mettere in conto che durante la discesa del fiume si potrà verificare anche più di una volta.

 

Adesso è il momento della pratica.

Ci troviamo appena dopo le cascate, in un ampio specchio d’acqua dove il fiume è abbastanza calmo e piatto.

Dopo la poderosa caduta dalla falesia, è come se le acque volessero concedersi una pausa prima di riprendere velocità nella loro corsa verso l’oceano.
Per fare delle prove, eseguiamo prontamente i comandi che ci da la guida, mettendo in pratica quanto ci è stato spiegato in modo teorico durante il briefing.

In ultimo veniamo invitati a buttarci in acqua per simulare una caduta e la conseguente risalita sul gommone.

 

Siamo all’ultimo giorno del tour di tre settimane in Botswana e ciascun membro del nostro gruppo ha avuto quest’arco di tempo per decidere in piena autonomia se compiere o meno l’ardua navigazione lungo lo Zambesi.
Dopo attente valutazioni, confrontandoci spesso anche tra di noi, l’adesione al rafting è stata totale. Nonostante le tante informazioni che abbiamo raccolto, siamo comunque abbastanza inconsapevoli di cosa ci aspetta affrontando uno dei rafting più impegnativi al mondo.
Ma ormai è fatta!

Siamo pronti a partire e da questo momento non è più possibile avere alcun ripensamento.

 

Lo Zambesi fa da linea di confine tra lo Zambia e lo Zimbabwe e prima di arrivare all’oceano Indiano attraversa anche il Mozambico. Così, durante il rafting, potremo ammirare le coste di due differenti stati africani, caratterizzate da splendidi paesaggi naturali.

 

Cominciamo a pagaiare per dare animo al gommone, indirizzandolo verso la discesa del fiume.

La partenza è piuttosto soft. Ma nel tempo in cui la guida ci descrive la prima rapida che incontreremo cominciamo a prendere velocità, scivolando sempre più speditamente verso le acque ribollenti.

Il gommone comincia a vivere di vita propria.

Mentre a forza di braccia cerchiamo di assoggettarlo al nostro volere, l’impressione che ho è di partecipare a un rodeo, stando a cavalcioni di un toro indomito che fa di tutto per disarcionare l’indesiderato cowboy.
Seduti sul bordo del gommone cerchiamo di eseguire al meglio, nonostante la nostra inesperienza, le istruzioni ricevute, rispondendo con sempre più forza all’impeto delle acque.

Tre, due, uno … e arriva il comando di smettere di pagaiare.

Ci accucciamo sul fondo del gommone, tenendoci quanto più saldamente possibile alle corde di sostegno.

Siamo così dentro alla prima rapida.

In pochi secondi ci ritroviamo scaraventati contro un muro d’acqua che subito si trasforma in un vortice che fa roteare il gommone su se stesso. Il controllo è ormai perduto e in preda alle spumose onde veniamo più volte sommersi e spinti verso l’alto.
Tutto dura pochi secondi, un tempo che però ci sembra interminabile.

Mentre il turbinio delle acque molla a poco a poco la presa sul nostro piccolo natante, riprendiamo a pagaiare.

Riconquistata la posizione seduta, facciamo la conta di quanti siamo ancora sul gommone.

L’equipaggio è al completo e, nonostante siamo tutti zuppi, abbiamo superato la rapida senza che alcuno di noi sia finito in acqua.

“Against the wall” è il nome della rapida che abbiamo appena superato e solo adesso abbiamo capito perché mai è stata chiamata così.
Anche le rapide che seguono portano un nome evocativo, come a voler mettere in guardia l’ignaro navigatore su cosa lo aspetta.

Con l’adrenalina in circolo e l’esperienza acquisita dopo la prima prova, siamo carichi per affrontare le prossime rapide. D’altra parte l’aver superato integri una rapida di quarto livello ci carica di entusiasmo per continuare impavidi la discesa del fiume.

Dopo aver attraversato indenni anche “The Morning Glory” eccoci prossimi a una nuova rapida.

Mentre navighiamo sulle acque abbastanza calme che la precedono, ancora una volta la guida ci da precise indicazioni su come affrontare questo nuovo passaggio.
Ci dice che la rapida è di quinto livello; che è molto ripida; che genera onde potenti e parecchi buchi enormi, tra i quali uno di questi è chiamato “guantone del ricevitore”. Con chiaro riferimento alla terminologia del baseball, si tratta di un vortice da cui inevitabilmente si finisce catturati.

Le istruzioni comprendono anche il comportamento da seguire nel caso in cui dovessimo finire in acqua. Descrivendoci la posizione di alcune rocce sporgenti, ci viene raccomandato di evitarle nuotando alla larga da queste.

Per concludere il breve briefing ci viene detto anche il nome della rapida: “Stairway to Heaven”.

– La scala verso il paradiso? – Mi chiedo cosa mai vuol significare questo nome.

Ma ormai siamo vicinissimi alla rapida e non c’è tempo per cercare le risposte alle domande che ci passano per la testa.

Ecco che nuovamente le acque diventano sempre più turbinose e spumeggianti.

Il gommone acquista velocità e s’imbizzarrisce mentre le onde tumultuose lo colpiscono in modo disordinato e sempre più violento.

Tutti i nostri sforzi nel pagaiare sono finalizzati a indirizzare il gommone nella giusta direzione.

Chissà, se davvero siamo entrati nella rapida nel modo più adeguato.

– Probabilmente, no! –

Un moltiplicarsi di onde sempre più alte ci porta anche stavolta a cozzare contro l’irruenza dell’acqua.

Per tornare alla metafora del rodeo, il gommone prima s’ingobbisce e subito dopo, come in una gara di forza e di supremazia, scalcia disarcionando buona parte dei cavalieri.
Questa volta molti dell’equipaggio, me compreso, finiamo in acqua mentre l’abile guida domina il gommone evitandone il ribaltamento.
Mi ritrovo cosi in balia del turbinio delle acque.

A questo punto dovrei mettere in pratica le istruzioni ricevute prima di entrare nella rapida.

Dovrei ricordarmi della posizione delle rocce sporgenti e della direzione da prendere per allontanarmi da queste.

Il problema è che mentre ruoto in modo disordinato e incontrollato in mezzo a lattiginosi flutti spumeggianti, attorniato da un’infinità di bollicine come se fossi immerso in una vasca di acqua gassata, con la visibilità praticamente ridotta a zero, non riesco certo a distinguere qual è la destra e la sinistra e dove è situato l’alto e il basso.

Fortunatamente dopo pochi secondi, che ancora una volta mi sembrano lunghissimi, sento una mano che mi afferra e mi tira su con forza.

– Sarà la mano di Dio? –

No, e la mano di uno dei tanti “salvatori” che in kayak ci seguono durante tutta l’attività di rafting.
Mi aggrappo quindi alla prima corda che trovo e riguadagno la posizione sul gommone.
Tengo ancora saldamente in mano la pagaia, dopo essere riuscito a non mollarla per tutto il tempo del roteare in mezzo ai flutti.

Con mio grande stupore la pagaia è curvata come un arco da tiro a segno. Ma di come abbia potuto fare per piegarla così non ho proprio alcuna cognizione.

L’adrenalina corre ormai in circolo più delle acque tumultuose, scekerando allo stesso tempo emozioni opposte tra loro, come paura e divertimento.
Durante un rafting si fa di tutto per non cadere in acqua ma allo stesso tempo finire tra le onde può essere la parte più divertente dell’attività.

È proprio per questo motivo che, secondo la mia impressione, in una delle successive rapide la guida provoca di proposito il “flip over”, ovvero il totale ribaltamento del gommone.

È così che, inevitabilmente, veniamo tutti inghiottiti e centrifugati dalle ribollenti onde e dai mulinelli che lo Zambesi si diverte a creare.

 

Le rapide dai nomi evocativi, come “Jaws of Death”, “Three ugly sisters”, “Washing Machine”, “Terminators”, “Oblivion” e altre ancora, si susseguono una dietro l’altra dandoci ogni volta una bella carica di adrenalina.

Tra una rapida e l’altra però non mancano i tratti di navigazione relativamente tranquilla, durante i quali possiamo godere dello spettacolo naturale che ci circonda.

Le ripide pareti basaltiche del canyon che delimitano il fiume sono popolate da una variegata avifauna. Piccoli coccodrilli stazionano nelle acque calme, senza però costituire una seria minaccia per gli umani.

La lunga giornata sullo Zambesi si conclude con una tranquilla rapida di basso grado, denominata “Thanks God I’m safe”.

Ringraziamo non solo Dio per averci condotti fin qui sani e salvi ma anche la perfetta organizzazione che magari nel cuore dell’Africa nera non ti aspetti di trovare.

L’entusiasmo di tutti noi è alle stelle e nessuno si lamenta di aver fatto una scelta sbagliata. Al contrario la domanda che si ripete con più frequenza è – Quando lo rifacciamo? –

Purtroppo non abbiamo più tempo per programmare una seconda esperienza di rafting perché termina oggi questo splendido viaggio in Botswana e domani si torna a casa.

© Aldo Lardizzone 2020 Licenza Creative Commons CREATIVE COMMONS

 

 

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