Passo dopo passo sul Cammino di Santiago
Da Tardajos a Castrojeriz
24 maggio 2018
Tappa 14 – Km. 29
La tappa di oggi sarà un po’ più lunga della media: circa trenta chilometri.
Stamattina ci siamo svegliati abbastanza presto; vogliamo anticipare la partenza per poi non dover andare di fretta durante la giornata.
La coppia di “hospitaleros” (così sono chiamati in spagnolo i gestori degli ostelli), ci preparano una leggera colazione, con tè, caffè, latte, pane e marmellata, che noi rinforziamo con i dolcetti acquistati ieri.
Qui, nell’ostello comunale di Tardajos, l’alloggio non si paga e la colazione nemmeno: è tutto gratuito o per meglio dire ci si regola con la solita formula del “donativo”.
Proprio per questo, all’ingresso dell’ostello, appesa al muro, c’è una cassettina dello stesso tipo di quelle per la posta, abbellita con il dipinto di un paesaggio naif e con la dicitura “Ayuda para el albergue”.
Pertanto i soldi non vanno dati in mano agli “hospitaleros” ma messi nella cassetta; in questo modo ognuno è libero di lasciare quanto crede e l’offerta rimane anonima.
Per conto mio, imbuco una banconota da 10 Euro, regolandomi in base a quanto si paga normalmente altrove per l’alloggio più la colazione.
Alle 6:30 lasciamo l’ostello e ci mettiamo in cammino.
Come al solito fa abbastanza freddo, però almeno non piove.
Per quel che riguarda il clima la novità di quest’oggi è la nebbia.
Percorriamo i primi chilometri attraversando un paesaggio bucolico reso ancor più suggestivo dal biancastro alone che avvolge ogni cosa.
Nel silenzio del mattino risuona nell’aria solo il calpestio dei nostri passi sullo sterrato umido.
Dopo la prima mezz’ora di cammino, Rabé de las Calzadas è il primo paesino che incontriamo. Mentre l’attraversiamo mi soffermo pochi minuti per dare uno sguardo alla iglesia de Santa Marina.
La chiesa, orgoglio degli abitanti del paese, è stata inaugurata sul finire dell’Ottocento e, per darle eleganza, è stata costruita con pietra bianca. Ma l’elemento più antico, risalente al XIII secolo, è un portale ad arco ogivale decorato con una trama a denti di sega e semplici colonne, nello stile architettonico proprio dei monaci cistercensi.
Un po’ più avanti si trova la piccola ermita de la Virgen del monasterio: l’eremo, costruito in stile rinascimentale, è così chiamato perché, oltre a essere stato edificato al posto di un antico monastero, conserva anche un’immagine della Vergine, qui ritrovata.
Mentre usciamo dal piccolo centro abitato, ci saluta un grande dipinto con soggetti sul tema del Cammino, realizzato sul muro in laterizio di un enorme capannone.
Da qui comincia la zona desertica della “meseta”, spesso indicata col termine al plurale, “mesetas”, dato che in realtà alcune valli, più o meno ampie, di tanto in tanto, interrompono la linearità di questa piatta e desolata regione.
Sono rari i paesi che s’incontrano e così anche le fonti d’acqua; spesso per il viandante l’orizzonte rappresenta il nulla, non lasciando scorgere alcuna meta d’arrivo per molti chilometri e molte ore.
Fortunatamente, oggi, non siamo oppressi da quel caldo torrido che, in gran parte dell’anno, surriscalda queste terre: ci accompagna un sole primaverile, caldo al punto giusto, che rende magico lo scenario e piacevole il cammino.
I campi di cereali che d’estate sono un interminabile mare giallo, in questo periodo sono ancora verdi, colore che fa pendant con l’azzurro del cielo completamente sgombro da nubi.
Una leggera salita ci porta su un primo altipiano.
Dopo circa due chilometri da Rabé de las Calzadas, incontriamo la Fuente di Prao Torre, una piccola area attrezzata con tavoli e panchine dove fare una pausa e rinnovare le scorte d’acqua.
La temperatura sta salendo e ne approfitto della sosta per togliere qualche strato d’abbigliamento.
Avanziamo in mezzo a campi agricoli a perdita d’occhio: davanti, di dietro e lateralmente non si vede altro.
Questa prima “meseta” è abbastanza clemente con noi pellegrini, grazie al clima mite e a distanze non molto lunghe tra un paese e l’altro.
In poco meno di due ore arrivo a Hornillos del Camino.
Sono quasi le nove e mezza e, giunto a questo punto, considerando l’ora mattutina in cui ho fatto colazione, penso che ci starebbe bene uno spuntino.
– Magari una buona tortilla! –
Mentre arranco verso un bar, di cui vedo l’insegna a un centinaio di metri davanti a me, pregusto la merenda.
– Ho già l’acquolina in bocca. –
Improvvisamente, però, si materializzano alle mie spalle un gruppo di ciclisti; saranno almeno otto: alcuni mi sorpassano a destra, gli altri sinistra e tutti si fiondano nel bar, precedendomi nell’arrivo di un paio di minuti.
Probabilmente fanno parte di un’unica squadra visto che indossano la stessa tuta dai colori sgargianti che li fa sembrare tanti “pappagalli”, così come direbbe un mio amico che fa importanti tappe di montagna in bicicletta, vestendo però tute normali.
Al mio arrivo, trovo il locale invaso dai ciclisti e il povero barista, unico addetto al banco, è impegnatissimo a soddisfare le loro comande.
Allegri e caciaroni hanno occupato i tavolini e il bancone del piccolo bar, come se all’interno non ci fosse nessun altro oltre loro, e ognuno ha una sua personale richiesta, diversa da quelle di tutti gli altri.
Sono degli italiani e più precisamente, sentito il loro inconfondibile accento, sono sardi.
Aspetto pazientemente il mio turno, ma quando mi rendo conto che la cosa andrà per lunghe, desisto e mi avvio con la speranza di trovare un altro bar poco più avanti.
Ho solo il dispiacere di aver visto la tortilla in bella mostra e, fetta dopo fetta, l’ho anche vista finire tra le “fauci” degli “assatanati” ciclisti.
Tra “ciclo-pellegrini” e “bipedi-pellegrini”, è risaputo che non corra molta simpatia e con questo episodio, che mi ha toccato personalmente, ho potuto capire anche il perché.
Non voglio generalizzare e sono certo che la quasi totalità di coloro che vanno in bicicletta siano persone attente e rispettose, verso chiunque altro percorra il Cammino di Santiago.
C’è da dire, però, che alla fine è sempre la piccola parte di mele marce che rovina l’intero cesto.
Ed è proprio a questa piccola parte che voglio parlare.
– Cari ciclisti, la lunga strada che porta a Santiago de Compostela non è una pista da corsa, dove mostrare la propria forza fisica e l’abilità tecnica con cui padroneggiate il vostro mezzo.
Non è nemmeno una gara, dove chi arriva per primo riceve un premio.
Solo perché percorrete il tracciato non vuol dire che stiate facendo il Cammino: pedalate serenamente e senza fretta, altrimenti non potrete apprezzare la bellezza e il fascino dei luoghi che attraversate, traboccanti di storia e di spiritualità.
E poi non si chiamerebbe “Cammino” se non fosse un percorso dove si va a piedi. Considerate che nell’antichità non c’erano ancora le biciclette e la maggior parte dei pellegrini procedeva sulle proprie gambe, oppure sulle quattro zampe di un ronzino o al massimo di un cavallo, se si trattava di una persona di un certo rango.
E poi, lasciatemi dire, fare il Cammino con i vostri ritmi è come farlo alla velocità della luce, se si paragonano i tempi di chi va in bici con quelli di chi va a piedi.
Le volte che mi è capitato di parlare con qualche ciclista, ho avuto una strana sensazione nel sentirgli dire che al mattino era partito dallo stesso luogo da cui ero partito io tre giorni prima. –
In bicicletta, l’intero Cammino Francese (partendo da Saint-Jean-Pied-de-Port) lo si può percorrere in tredici/quindici tappe e anche meno.
Sulle due ruote si macinano, mediamente, sessanta e anche più chilometri al giorno.
Il Cammino di Santiago è stato tracciato per essere percorso a piedi e, per questo, alcune salite e discese possono risultare impraticabili per coloro che pedalano; per lo stesso motivo, pietraie, strettoie e impedimenti vari, impegnano notevolmente le gambe e a volte costringono a smontare dalla sella e a proseguire spingendo la bici.
Dico questo perché è indubbio l’impegno fisico che compiono i ciclisti, ma non può esserci paragone con la fatica di coloro che vanno a piedi: la differenza la fanno i giorni consecutivi di cammino che, per quest’ultimi, sono più del doppio dei giorni che vedono impegnati coloro che procedono sulle due ruote.
Per concludere, rivolgendomi sempre a quella piccola parte di ciclisti, dico:
– Evitate di muovervi in gruppi numerosi; non piombate all’improvviso e a velocità sostenuta alle spalle di chi cammina, chiedendo il passo con il “drin-drin” dei vostri campanelli.
Sappiate che molto spesso i pellegrini che avanzano a piedi, con sforzo e con chissà quali dolori fisici addosso, sono immersi nel silenzio, catturati dalla contemplazione della natura e/o assorti nei loro pensieri.
Pensate a quando voi pedalate su strada e vi sfrecciano accanto le auto e i camion, strombazzando e inquinando l’aria che subito dopo respirate a pieni polmoni; provate a ricordare quanto questo sia fastidioso per voi, mentre i conducenti dei mezzi a motore non se ne rendono conto. –
Esperienza, questa, subita più volte in prima persona perché, alla fine, anch’io amo fare dei percorsi in bicicletta.
E allora:
– Evviva la diversità! – e allo stesso tempo – Evviva il rispetto per tutti! – così come fa la stragrande maggioranza dei Ciclisti, quelli con la “C” maiuscola. –
***
Ritornando alla cronaca del mio cammino, dopo essere andato via dal bar, dove mi è stato impossibile mangiare qualcosa, proseguo lungo la calle Real di Hornillos del Camino e qualche centinaio di metri più avanti trovo un piccolo ostello con un’area di ristoro dove si può prendere qualcosa di spicciolo. Purtroppo, però, non c’è la tortilla.
– Che peccato! – Ormai ce l’ho in testa e anche il mio corpo la reclama per fare il pieno giornaliero di carboidrati.
Il paese è molto piccolo e più avanti non credo che ci sia altro; non volendo rischiare di rimanere a stomaco vuoto, mi accontento di mangiare un semplice donut alla cioccolata.
Al banco mi serve una ragazza italiana che nel passato ha già fatto il Cammino e adesso è tornata qui, a Hornillos del Camino, per collaborare nell’ostello come volontaria.
Faccio due chiacchere con lei e, in sostanza, mi dice che si trova qui per “ritrovare sé stessa”.
Dietro a un'affermazione del genere c’è sempre una insoddisfazione di vita, spesso dettata da delusioni d’amore, di lavoro o anche di qualcos’altro di ancora più personale e profondo.
Nei pochi minuti che impiego per mangiare il mio donut non mi sembra il caso di farle l’interrogatorio e non approfondisco l’argomento, lasciando l’interpretazione della frase a quanto ho percepito leggendo tra le righe della sua risposta.
Riprendo a camminare e dopo aver percorso un altro chilometro e mezzo arrivo a Hontanas.
Sono le dodici spaccate e non posso sbagliarmi perché nel momento stesso in cui metto piede in paese le campane della chiesa suonano il mezzodì: sembra quasi che annuncino festosamente il mio arrivo.
Lo scampanio mi accompagna finché non giungo davanti alla iglesia de la Inmaculada Concepción.
Le campane sono poste in cima a un’alta torre che sovrasta centralmente la facciata della chiesa.
La costruzione risale al XIV secolo ed è in stile gotico, anche se col passare del tempo sono stati fatti dei rimaneggiamenti in stile neoclassico.
Il portone d’ingresso è aperto e ne approfitto per dare uno sguardo anche dentro.
Quello che certamente risalta maggiormente dell’interno della chiesa è il dorato retablo dell’altare, riccamente scolpito in stile barocco. Ma l’attenzione del visitatore è catturata anche da una serie di grandi fotografie, poste a scacchiera in un angolo, che ritraggono in primo piano i volti di personaggi che hanno predicato la pace, la non violenza e l’amore verso il prossimo. Oltre a santi ed ecclesiastici ci sono anche persone famose come il Mahatma Gandhi, Madre Teresa di Calcutta e Martin Luther King.
Hontanas è la tappa classica del Cammino dove in genere ci si ferma a dormire dopo Burgos; tragitto, questo, lungo circa trentadue chilometri.
Invece, avendo fatto ieri la mini-tappa fino a Tardajos, i chilometri che oggi abbiamo percorso per arrivare qui sono stati appena ventuno: siamo così al di sotto della media giornaliera e pertanto, con Rocco e Dante, decidiamo di non fermarci e di proseguire per altri otto chilometri fino a Castrojeriz.
Per questo motivo, la nostra sosta a Hontanas dura solo venti minuti.
All’uscita del paese, un antico pellegrino disegnato sulla parete bianca di una piccola costruzione, augura a tutti i viandanti “Buen Camino”; nello stesso murale è evidenziato che, a partire da questo punto, mancano ancora 457 chilometri per arrivare a Santiago de Compostela.
Dopo un’altra ora abbondante di cammino giungiamo a San Antón, località disabitata dove ci sono solo i ruderi di un antico monastero antoniano.
L’edificio religioso, nel Medioevo, fungeva anche da ospedale e accoglieva forestieri e pellegrini, specialmente quelli che soffrivano del cosiddetto “fuoco di sant’Antonio”.
Dell’antico monastero, rimangono in piedi solo alcune parti tra cui due arcate gotiche, sotto le quali ancor oggi, come nel passato, transitano i pellegrini che vanno a Santiago de Compostela.
Tra le due arcate c’è l’ingresso della chiesa, di cui è rimasta abbastanza intatta soltanto una serie di pregevoli archivolti, completamente decorati con sculture.
Al giorno d’oggi, il monastero è proprietà privata e al suo interno è stato allestito tra i ruderi un piccolo rifugio da dodici posti letto, privo di acqua calda e di elettricità.
La sera si cena in comune alla luce delle candele e quando si va via si lascia un donativo, sia per il vitto che per l’alloggio.
L’ostello è molto spartano e chi vi rimane a dormire lo fa sicuramente per il fascino che emana il luogo.
A gestire la piccola struttura troviamo un italiano, piuttosto “alternativo”, dal fisico asciutto e con una folta barba bianca.
Lui è solo un volontario che si occupa dell’ostello per conto del proprietario.
Ci racconta che è andato via dall’Italia da quasi trent’anni, sta bene in Spagna e non ha intenzione di ritornare in patria, viste tutte le storture del nostro paese.
Quando il discorso vira sulla politica italiana dell’ultimo ventennio, dato che non sono interessato né al dibattito e nemmeno alla retorica, preferisco concludere la visita, salutarlo cordialmente e riprendere a camminare.
Rocco e Dante sono stati tentati di rimanere a dormire nel monastero ma, quando ho detto loro che non sarei rimasto, allora sono venuti via con me.
– Va bene il fascino del posto, però non chiedetemi di rinunciare alla doccia calda dopo una giornata di cammino: unica comodità a cui tengo durante questa esperienza! –
Il paesaggio che ci accompagna negli ultimi tre chilometri della tappa odierna è ancora agreste anche se il percorso si svolge tutto su strada asfaltata.
Intorno alle 15:00 arriviamo a Castrojeriz, dove passeremo la notte.
Abbiamo qualche difficoltà a trovare posto: l’ostello comunale è pieno e anche altre strutture che visitiamo non hanno disponibilità.
Alla fine, dopo aver fatto diversi giri all’interno del paese, aggiungendo così un altro paio di chilometri al percorso compiuto quest’oggi, troviamo posto presso l’ostello Casa nostra, situato in un edificio d’epoca all’inizio della via principale.
Verso le diciotto, usciamo per il solito giro turistico anche se, in qualche modo, il paese lo abbiamo già visto mentre andavamo alla ricerca del posto dove dormire.
In un negozio di alimentari compriamo gli spuntini per domani. Allo stesso tempo prendiamo anche delle birre e delle patatine e facciamo un aperitivo seduta stante, accomodandoci su una panchina.
Concludiamo questa giornata con la cena in un ristorantino del centro, dove paghiamo 11 Euro il “menù del pellegrino”.
Personalmente prendo fagioli con tocchetti di salume, salmone alla plancha (ovvero, grigliato) e budino alla vaniglia con panna.
Ottimo, tutto quel che ci è stato servito.
A posteriori, però, con questi piatti penso di aver esagerato con i grassi.
Non sono molto attento alla dieta e su queste cose vado un po’ a desiderio. Comunque sia, devo dire che con le calorie che consumo di giorno, arrivato a sera mangerei anche i tavolini dei ristoranti.
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