Passo dopo passo sul Cammino di Santiago
Da Santo Domingo de la Calzada a Belorado
20 maggio 2018
Tappa 10 – Km. 23
Con i primi bagliori del giorno, alle 6:40, lascio l’ostello di Santo Domingo de la Calzada.
Il cielo è sereno e anche se fa un po’ più freddo del solito si prospetta una bella giornata di sole.
Come spesso accade, data l’ora in cui inizio a camminare, parto senza fare colazione e per mangiare qualcosa aspetto di trovare un bar aperto nel primo paesino che incontrerò.
Uscendo da Santo Domingo de la Calzada, attraverso il río Oja passando sopra un ponte a sedici archi, lungo 148 metri. All’inizio di questo c’è la piccola ermita del Puente.
Costruito verso la metà del XI secolo per favorire il passaggio dei pellegrini, il ponte è stato teatro nel passato di numerosi eventi miracolosi.
Tra questi c’è il miracolo fatto da santo Domingo: un pellegrino deceduto per essere stato investito da un carro trainato da una coppia di tori ha riavuto la vita per opera del Santo. L’evento si celebra ogni 11 maggio con la processione de La Rueda.
La parte iniziale di questa tappa è pressoché pianeggiante e la percorro senza alcuna difficoltà.
Poco dopo le sette il sole che sorge mi da un po’ di tepore e man mano che sale all’orizzonte rende il paesaggio sempre più suggestivo, ravvivando i colori delle piantagioni e accentuando i contrasti tra luci e ombre.
Seduto su una panchina sperduta in mezzo ai campi vedo un altro degli amici conosciuti lungo il Cammino: il suo vero nome è Larry ma ancora oggi, come da bambino, si fa chiamare Yoghi, proprio come il famoso orso dei cartoni animati.
È di New York e faccio un po’ fatica a seguire i suoi discorsi in un americano pronunciato velocemente, nonostante gli ripeta in continuazione di parlare “slowly”.
Comunque sia, Yoghi è molto simpatico e socievole e ogni volta che lo incontro mi fa tanto piacere “scambiare” con lui qualche battuta.
È fermo qui intento a sistemare le fasce elastiche che porta al ginocchio e alla caviglia come ausili per le tendiniti che lo affliggono.
Ne approfitto così per fare una foto ricordo insieme: entrambi seduti sulla panchina come Forrest Gump ma senza cioccolatini.
Dopo aver percorso i primi sette chilometri della tappa di oggi, giungo nel piccolo paese di Grañón.
Per prima cosa faccio colazione in un bar e riempio d’acqua le due bottigliette che porto con me.
In questo momento la priorità è rifocillarmi, visto che già sono in giro da un’ora e mezza e ancora non ho mangiato nulla.
Messo un po’ di “carburante nel motore”, prima di ripartire non perdo l’occasione di visitare la rinomata iglesia de San Juan Bautista.
Costruita tra il XIV e il XV secolo, la chiesa è composta da una sola navata e al suo interno spiccano il fonte battesimale di epoca romana e il grande retablo dell’altare maggiore, dedicato ai santi Giovanni; quest’ultimo è un’opera di grande ricchezza ornamentale, dove sono scolpite figure piene di movimento.
In fondo alla chiesa, in alto, c’è il coro formato da diciotto sedili.
Purtroppo non c’è traccia del famoso parroco, Jesús García, che accoglie i pellegrini in modo speciale e che fa anche da guida nella visita della chiesa.
Lasciato il paese di Grañón, il sentiero sterrato attraversa un bel paesaggio composto ancora da piccole colline verdi e sinuose, rivestite dal consueto manto di cereali.
Il sole è già alto e la temperatura si è fatta piacevole.
Poco prima delle nove e mezza, sono in compagnia di Rocco e Dante mentre insieme passiamo il confine tra le provincie della Rioja e della Castilla y León.
Per immortalare il momento, posiamo per qualche foto dinanzi all’enorme pannello che segna il cambio di provincia.
A Redecilla del Camino, un distributore automatico posto lungo la strada, dello stesso tipo di quelli che dispensano bevande e merendine, fa da “farmacia del Cammino di Santiago” contenendo i medicamenti e gli ausili utili per gli acciacchi dei viandanti.
Ecco l’ennesimo esempio di come, in questi piccoli paesi, ogni cosa sia pensata per le esigenze dei pellegrini: il flusso continuo di persone contribuisce, in qualche modo, a sostenere l’economia di queste località.
– Nessuno si arricchisce e nessuno se ne approfitta! –
In questo racconto ho quantificato più volte i prezzi degli ostelli e dei cosiddetti “menù del pellegrino”; ho anche detto del “donativo”, la pratica di offrire qualcosa in cambio di una libera offerta, e delle svariate strutture ricettive gestite gratuitamente da volontari.
Bastano questi pochi esempi per capire che dietro al Cammino di Santiago non c’è una grande speculazione. Però, è anche vero che sono i numeri totali a essere impressionanti, se si considera quanta gente percorre in un anno tutti i Cammini che portano a Santiago de Compostela.
I dati statistici ufficiali relativi al 2018, quindi l’anno del mio Cammino, riportano che sono giunti a Santiago de Compostela oltre trecentomila pellegrini, di cui più del cinquanta percento ha percorso il Cammino francese.
Altri dati significativi sono riferiti alle due località da cui è partito il maggior numero di pellegrini: quasi trentatremila da Saint-Jean-Pied-de-Port e più di ottantottomila da Sarria, la cittadina da cui si contano gli ultimi cento chilometri.
Percorrere il Cammino di Santiago costa mediamente 25/30 Euro al giorno: budget che comprende il pernottamento, la cena, la colazione e gli altri spuntini della giornata.
Dopo aver snocciolato tutti questi numeri, è facile fare i conti totali e calcolare che, a occhio e croce, si parla di milioni di Euro che entrano in Spagna da un turismo “alternativo”. Denaro che però viene distribuito lungo le migliaia di chilometri dei vari percorsi che portano a Santiago de Compostela (solo i chilometri del Cammino francese sono circa ottocento).
Fatte queste considerazioni il pensiero corre veloce all’italiana Via Francigena. Devo premettere che non l’ho studiata a fondo e la mia conoscenza si basa solo su informazioni di cui ho letto o sentito parlare sporadicamente.
Per quanto gli itinerari nostrani, dal punto di vista storico, artistico e naturale, rispetto ad altri luoghi nel mondo, siano nettamente superiori per bellezza e interesse culturale, ci sono parecchie differenze pratiche ed economiche che non reggono il confronto con i vari Cammini di Santiago; motivi per cui l’italiana Via Francigena alla fine attrae solo qualche decina di migliaia di camminatori all’anno.
Innanzitutto, c’è da considerare il budget giornaliero che serve in Italia per dormire e per mangiare: nel nostro paese si spende almeno il doppio, se non di più, rispetto alla Spagna. Voce di non poco conto, considerando che chi parte per una esperienza di questo tipo deve mantenersi per diverse settimane se non, addirittura, per più di un mese.
A favore della Spagna, ci sono poi da evidenziare: la capillare rete costituita dalle strutture d’accoglienza, non solo ostelli e ristorantini, ma anche bar, market e altro, che si trovano abbastanza frequentemente lungo il Cammino; la segnaletica precisa e ben curata che, passo dopo passo, non lascia dubbi circa la direzione da prendere; la rete di sentieri e percorsi di vario tipo dedicati ai viandanti che, per buona parte, portano i pellegrini a camminare più o meno lontani dalle strade asfaltate trafficate dai mezzi a motore.
Già investendo su questi aspetti basilari, col tempo si potrebbe sviluppare anche nella nostra penisola una consistente fetta di turismo, costituita da chi va a piedi per lunghi tratti.
Probabilmente, in Italia, ci sono da risolvere anche questioni di tipo burocratico ma che tralascio di affrontare, data la mia poca conoscenza della materia.
Del Cammino di Santiago ne ho parlato basandomi su quanto ho potuto appurare personalmente; ai miei occhi sono stati molti i fattori positivi che mi portano a dare un voto alto agli aspetti pratici di questa mia esperienza.
Se ci sono dei risvolti negativi sul Cammino di Santiago che non ho rilevato, o delle inesattezze per quanto ho accennato sulla situazione italiana, sono pronto a dare spazio a fatti che confutano quanto da me scritto.
***
Dopo questa breve divagazione sugli aspetti economici del Cammino, riprendo la cronistoria della mia tappa odierna.
Uscendo da Redecilla del Camino, il sentiero costeggia la strada statale per qualche chilometro; i mezzi a motore che mi passano a poca distanza, mi distraggono dai pensieri in cui sono assorto, facendomi perdere un po’ di quella serenità che elargisce il Cammino.
All’ingresso di Castildelgado, un altro piccolissimo paese composto da due chiese, una piazza e quattro case, incontro Tunner, un simpatico giovane di Seattle che ha lasciato temporaneamente il lavoro di carpentiere per percorrere il Cammino di Santiago.
Poco più avanti, invece, faccio la conoscenza di una nuova amica, Maico: una ragazzona olandese di Amsterdam che avanza spedita accompagnata dal suo “bordone” (bastone), al quale ha legato in cima la “concha” e la “calabaza”.
La “concha”, come ho già avuto modo di dire, è la conchiglia simbolo del Cammino. La “calabaza”, invece, è una piccola zucca, a forma di fiasco o di pera, che gli antichi pellegrini utilizzavano come contenitore di acqua o di vino.
Al giorno d’oggi è solo un simbolo e la si trova in vendita come souvenir.
Maico, è energica e di passo svelto ma, di tanto in tanto, ama prendersi delle lunghe pause, concedendosi una sigaretta arrotolata e, quando c’è la possibilità, anche un tè o un caffè.
È proprio durante una di queste pause che, io e Rocco, facciamo la sua conoscenza.
Incontriamo Maico mentre riposa seduta a terra, all’ombra di un enorme cumulo di balle di fieno, accatastate in mezzo alla campagna.
Facciamo anche noi una breve pausa mentre scambiamo le solite quattro chiacchiere di presentazione tra pellegrini – Di dove sei? … Da dove sei partita? … Da quanti giorni cammini? … Dove ti fermi stasera? … Fai il Cammino intero o solo un pezzo? … Arrivi anche a Finisterre? – eccetera, eccetera.
In linea di massima è questo il protocollo che viene spontaneo seguire quando s’incontra un nuovo compagno d’avventura; se poi si vuole scendere di più nel dettaglio ci si racconta anche dei malanni fisici causati dai tanti chilometri percorsi. Di questi, a volte, più che per lamentarsi, se ne parla con fierezza, come se fossero delle ferite di guerra procurate durante un’azione eroica.
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Mentre andiamo via, Maico accende un’altra sigaretta e, ironicamente, le raccomandiamo di fare attenzione a non dar fuoco alla montagna di fieno su cui poggia le spalle.
Poco più avanti, eccoci a Viloria de Rioja, paesino di appena sette chilometri quadrati che conta meno di sessanta anime.
Il minuscolo centro abitato è noto per aver dato i natali a santo Domingo che ha visto la luce nel 1019 in una casetta di fronte alla iglesia de Nuestra Señora de la Asunción. All’interno della chiesa c’è ancora il fonte battesimale romanico dove il Santo è stato battezzato.
Mi fermo pochi minuti dentro la chiesa mentre è in corso la santa messa.
Nello stesso paese si trova anche l’ostello privato Acacio y Orietta, tramite il quale si può mandare un messaggio a Paulo Coelho, l’autore del famoso libro del 1987 “Il Cammino di Santiago” che ha tanto contribuito a ridare notorietà a questo pellegrinaggio.
A Viloria de Rioja incontro altri due amici che ho già conosciuto lungo il Cammino: sono padre e figlio e vivono a Città del Messico.
Anche loro due sono soliti mantenere un passo molto spedito; in particolare, il giovane figlio, Eduardo, dal fisico minuto ma atletico, cammina mantenendo un ritmo costante come se fosse un metronomo.
I passi di Eduardo sono scanditi dal ticchettio dei suoi bastoncini che, mentre avanza, colpiscono il terreno in modo alterno e regolare.
Il padre, invece, per attutire il rumore delle sue bacchette ha conficcato in ciascuna punta degli stessi delle vecchie palle da tennis.
Sulla via per Santiago oltre ai simboli classici del Cammino, tante volte, s’incontrano anche dei simboli moderni, creati spontaneamente dai pellegrini dei nostri giorni. Ad esempio, sul ciglio della strada o su qualche pietra miliare, si vedono spesso dei vecchi scarponi da trekking trasformati in vasi, riempiti di terra e con dei fiori piantati dentro.
Ma, ahimè, si vedono spesso anche molti altarini o semplici croci dove, per ricordare dei pellegrini che non ci sono più, sono state lasciate le foto di questi e/o dei biglietti scritti con dei pensieri a loro dedicati. Alcuni sono morti durante il loro pellegrinaggio mentre altri hanno avuto dei legami con il Cammino o con qualcuno che lo ha percorso.
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Intorno a mezzogiorno arrivo a Villamayor del Río, altra piccolissima località conosciuta come “Il paese delle tre bugie”, poiché non è “Villa”, non è “Major” e non ha un “Río”.
Prima di proseguire faccio una pausa per dare un’occhiata alla chiesa in stile neoclassico dedicata a san Gil abad, risalente al XVIII secolo; al suo interno si sta svolgendo la santa messa e così, per non disturbare, mi siedo negli ultimi banchi e ne approfitto per riposare qualche minuto.
Gli ultimi chilometri di oggi, mi vedono percorrere una via sterrata, costeggiata dai consueti campi agricoli dal vivido colore verde.
Poco prima delle 13:30 arrivo a Belorado e mi fermo nell’Albergue municipal El Corro.
L’ostello è confortevole, nonostante sia piuttosto piccolo.
Ad accoglierci con grande cortesia c’è Minerva, una giovane e bella signora che gestisce la struttura ricettiva.
Sono contento della scelta fatta anche se, probabilmente, avrei potuto optare per qualcosa di meglio, dato che in paese ci sono sistemazioni più strutturate, anche con la piscina.
C’è un bel sole e, dopo aver fatto la doccia e il bucato, faccio lo spuntino di metà giornata nel cortiletto dell’ostello; ci sono anche alcuni amici pellegrini con cui, tra un boccone e l’altro, chiacchiero piacevolmente.
Dopo il riposino, faccio il solito giretto pomeridiano per visitare il centro storico di Belorado. Con me ci sono anche i fidi Rocco e Dante.
Prima di tutto raggiungiamo la bella plaza Mayor: piazza porticata a pianta trapezoidale irregolare, dalle architetture tipicamente castigliane.
Al centro si trova il “templete”, un gazebo sopraelevato a forma ottagonale.
Ma quello che attira maggiormente la mia attenzione sono i tanti platani che riempiono tutta la piazza.
In questo periodo gli alberi sono privi di foglie e i rami nudi, innestati tra loro, da un albero all’altro, creano una suggestiva trama.
È facile immaginare come nel periodo estivo il folto fogliame crei una tettoia naturale, sotto la quale i passanti possono ripararsi dal sole cocente.
Nella parte orientale della piazza si trova la iglesia de San Pedro, di costruzione medievale e poi rimaneggiata nel XVII secolo.
Mentre ammiriamo la piazza incontriamo le tre giovani amiche coreane, conosciute qualche giorno addietro; con loro ci intratteniamo pochi minuti, giusto il tempo per scambiare qualche battuta.
M’insegnano un gesto che i giovani fanno in Corea, sovrapponendo a X il pollice e l’indice della stessa mano: significa “love”. Se poi questo amore è molto grande, allora la posa coinvolge entrambe le braccia, portandole sopra la testa e chiudendole a forma di cuore.
Scattiamo qualche foto che ci ritrae simpaticamente insieme, mentre facciamo con le mani il segno “d’amore” che ho appena imparato. Le ragazze, come nella consuetudine degli orientali, non mancano di posare mostrando anche il solito segno della V, fatto con l’indice e il medio alzato; a seconda delle interpretazioni questo può indicare pace, vittoria o più semplicemente è un gesto che porta il volto ad assumere un sorriso naturale, così come il nostro “cheese”.
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Il paese di Belorado è anche un’esposizione d’arte contemporanea all’aria aperta; molti muri e facciate di case e palazzi sono caratterizzati da colorati murale di grandi dimensioni che si rifanno al tema dell’anno jacobeo 2010, e non solo.
Uno degli aspetti più belli della primavera sono le cicogne che, come ogni anno, tornano a occupare le cime di campanili, di torri o di semplici pali della luce, diventando parte integrante dei luoghi dove nidificano.
I voluminosi nidi, composti da rami e stecchi, insieme ai loro simpatici occupanti, sono uno spettacolo naturale ampiamente diffuso anche qui a Belorado.
Mi affascina molto osservarle e, pur trovandosi molto in alto, riesco a sentire il particolare suono di nacchera che producono mentre sbattono velocemente il lungo becco.
Le fotografo molte volte, cercando di riprenderle in primo piano nelle loro pose plastiche.
In fondo alla calle del Corro, ai piedi dell’antico castello, si trova la iglesia de Santa María la mayor al cui interno sono custoditi importanti patrimoni artistici: la pala barocca dell’altare maggiore, una antica statua dell’Immacolata e la pala d’altare dedicata a San Giacomo apostolo.
In quest’ultima, il Santo è rappresentato sia nella versione di pellegrino sia nella variante a cavallo come “matamoros”, ovvero “uccisore” di musulmani.
L’iconografia di Santiago guerriero che massacra gli infedeli, che spesso si vede in molte chiese, non nasce da reali azioni compiute dal Santo, dato che la presenza dei mori nella penisola iberica non coincide con l’epoca in cui egli visse.
La rappresentazione di Santiago matamoros, invece, deriva da una leggenda: nell’anno 844, il Santo sarebbe apparso in sogno a un condottiero il giorno prima di una battaglia contro gli infedeli, assicurando a questo la sua partecipazione al combattimento e anche la vittoria.
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Per raggiungere il castello di Belorado, chiediamo informazioni a una signora che incontriamo per la strada; questa, anziché darci le indicazioni, si offre di farci lei stessa da guida in modo disinteressato.
Così, per prima cosa ci accompagna al castello, i cui resti sono situati su un promontorio panoramico a ridosso della iglesia de Santa María la mayor; a seguire ci propone di visitare il convento Nuestra Señora de la Bretonera retto da suore clarisse.
Raggiungiamo quindi l’uscita del paese dove si trova l’antica costruzione monastica. La sua fondazione risale al 1358 quando una comunità di pie donne si stabilì in questo luogo per seguire la regola di santa Chiara di Assisi.
La nostra amica beliforana (così si chiamano gli abitanti di Belorado) ci guida all’interno del monastero fino all’interno della chiesa dove ci sono alcune religiose raccolte in preghiera.
Nonostante un’alta inferriata ci separi dalle suore, possiamo ammirare comunque l’interno dell’unica navata della chiesa a croce latina e, in particolare, il prezioso retablo dell’altare maggiore con al centro la statua della Vergine assunta al Cielo.
Usciti dal monastero, ringraziamo e salutiamo la nostra amica e non manchiamo di suggellare il ricordo con una foto che ci ritrae insieme a lei.
Torniamo di fretta in ostello, dove alle diciannove siamo attesi per la cena.
Come concordato nel pomeriggio, dal “menù del pellegrino” di questa sera ho scelto zuppa di verdure, baccalà e crema catalana alla cannella, quest’ultima caratterizzata da una crosticina di zucchero caramellato.
Per concludere la giornata faccio un giro in piazza insieme agli amici spagnoli, Juanì e Salvador e con loro bevo il bicchierino della staffa, prima di andare a dormire.
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